Palazzo Lucarini Contemporary a Trevi, ospita fino all’8 gennaio 2017 la mostra Death & Romance in the XXI Century di Franko B, a cura di Maurizio Coccia, e la collettiva Forms&Object, curata dall’artista.
L’artista, originario di Milano e formatosi a Londra, ha un curriculo di grande spessore fra esposizioni, collaborazioni e le molte occasioni di insegnamento come Associated lecturer in Fine Art presso l’University of Northampton, Visiting lecturer at Royal College of Art di Londra, fin dal 2012, e Guest lecturer in numerosi istituzioni in Europa e Stati Uniti.

Ritratto di Franko B, © Riccardo Dogana.
Sei conosciuto come uno degli artisti più importanti ed estremi della body art, per il simbolismo legato al sangue e al latte delle tue performances, e per le percosse e le violenze che sottoponi al tuo stesso corpo. Ma il Franko B che oggi vediamo ha un simbolismo diverso. A Trevi, lo spettatore si trova di fronte alle immagini più conosciute della nostra civiltà digitale, dipinte e ricamate e rielaborate come icone. Ti va di ripercorrere gli ultimi 20 anni di carriera alla luce di questo cambiamento?
Io non lo vedo come un vero e proprio cambiamento. Ho sempre prodotto anche opere oltre alle performances, ma soprattutto ho sempre avuto una base di ricerca e una produzione di lavori che avevano a che fare con il periodo storico, il contesto in cui viviamo, le ragioni per cui accadono gli eventi terribili che tutti conosciamo. Ancora lavoro nella body art e nella performance. Da dieci anni non perdo fisiologicamente sangue, ma il mio pensiero è che io non ho mai perso sangue, l’ho sempre donato all’arte e tutt’ora lo dono. La mia vita è sangue, la sofferenza è sangue, quello che succede nel mondo è sangue. E io lo dono. La gente si ricorda delle cose più scioccanti e che inducono a parlare. La strategia è cambiata, sì, ma soprattutto il contesto storico è cambiato. La società è cambiata in questi ultimi 20 anni. Il contesto in cui sono cresciuto e che ha plasmato la mia persona non è lo stesso contesto incontrato a Londra venti anni fa, o il contesto che vivo ora. Il mondo vive in un conflitto continuo, e molti sono sempre gli stessi che cambiano e si trasformano. Tutti noi viviamo in un continuo conflitto politico e identitario con i media e i Governi che vogliono controllare i nostri linguaggi, il nostro presente, il nostro futuro. Durante il mio periodo di formazione, negli anni ’60 e ’70, c’era la Chiesa, c’era lo Stato. Oggi questi organi sono influenzati dalle big corporations di ogni genere, dalle armi alle medicine, e dalla sicurezza alla privacy, che realmente in questi ultimi venti anni hanno guadagnato molto denaro e molto potere. L’unica cosa che sta cambiando in me, ma non è un vero e proprio cambiamento, è che sto sviluppando nuove esperienze perché vivo. Non è neanche una scelta, è un dovere. As a matter of fact.
La sofferenza del mondo non è più visibile attraverso il tuo corpo.
Sì, non soffro più per il mondo o per me stesso, ma uso dei veicoli per portare fuori e far vedere le immagini che vivono dentro di me perché le ho subite, nel senso che quando le ho viste mi hanno toccato profondamente. Queste immagini che ormai passano inosservate. Queste immagini, per giochi politici e strategici diventano il poster di qualcosa per cinque minuti. Il bambino Alan Kurdi (conosciuto inizialmente come Aylan ndr), che abbiamo tutti visto annegato a faccia in giù, durante l’estate scorsa, è diventato una icona. Ma una icona senza reale importanza. Perché molti bambini, e non solo, erano già annegati in mare e molti ancora arrivano sulla spiaggia già morti. Il bambino realizzato in marmo, che ho chiamato Sleeping Beauty, Il Bello addormentato, è uno dei tanti bambini annegati nel Mediterraneo. I loro genitori pensavano che venire in Europa poteva essere la salvezza ma per tanti non lo è stato. O non lo è stato in quei termini che perseguivano. Ma questa immagine era travolgente e volevo che la sua memoria esistesse. L’ho fatto perché ne restasse memoria nella nostra società, non solo nella dark net. E quello che io posso fare è farla diventare arte usando la bellezza. Sono andato a guardare il San Sebastiano di Gian Lorenzo Bernini. E anche per il bambino ho voluto usare sensualità e intimità. E l’arte, quando il linguaggio funziona, fa scattare qualcosa capace sia di sedurre che respingere. E così è stato. Ci sono stati degli equivoci. Quando la gente ha visto per la prima volta la scultura ho ricevuto lettere che dicevano che il bambino era stato stuprato, che era un lavoro pedofilo. È vero, ho risposto. Il bambino è stato stuprato, ma non nel senso che pensi tu. Il bambino è stato stuprato dalla società che non lo ha accolto, dalla guerra che lo ha costretto a fuggire, dalla inadeguatezza dei nostri governi che non hanno potuto o voluto fermare la guerra. È la risposta alla nostra totale inefficienza nel non far accadere cose come queste nel 2016. Quando poi dico da dove viene l’immagine mi chiedono scusa.
Nella mostra ci sono altre opere che parlano di infanzia e sono i giochi per bambini che troviamo in tutti i parchi. Una altalena. Una giostra. Un dondolo e uno scivolo.
Le giostre sono monumenti al fallimento dell’infanzia. Anche della mia. Il fallimento della società nei confronti dei bambini, intenso come operazione di sviluppo e crescita in maniera civile. Le sculture hanno un taglio secco, duro. Sono verniciate di nero e a polvere perché non dovevano avere nessun riflesso di luce. Sono giochi ma non sono felici. Sono i cimiteri dell’infanzia della nostra società da molte generazioni, cresciute all’ombra della cultura patriarcale, eroica, con stereotipi riguardanti la madre, la donna e il suo ruolo sociale.
La simbologia delle tue opere sono state diverse volte utilizzate anche nel mondo della moda. Come nasce questa collaborazione?
L’intera famiglia Marras mi sta molto a cuore. Amano l’arte, sono loro stessi artisti. Antonio apprezzava molto i miei disegni di bambini soldato e lavorandoci sopra ha creato la linea di t-shirt. Qualche anno fa invece mi aveva chiamato RRUNA, che voleva collaborare con alcuni artisti e io ero il primo a essere contattato. L’idea mi era piaciuta molto. La collaborazione con Marras è di tipo familiare, ovvero non è determinata dal legame di sangue ma dall’amore che c’è. Nel corso della mia vita ho conosciuto molti stilisti che hanno dovuto vendere il nome a investitori potenti che vendono cibo per gatti e creatività. Questa cosa mi ha sempre rattristato e secondo me è sempre meglio chiudere e mettere le proprie abilità al servizio di altro ma restare onesti. Un artista che fa il lavoro che vuole qualcun altro è qualcosa di agghiacciante.
C’è stato qualcuno che ha cercato di comprare il tuo nome o la tua immagine?
Hanno cercato di controllare il mio linguaggio, ma non ho accettato nessuna delle loro proposte. C’è stato chi voleva farmi da manager e farmi vendere qualcosa che secondo lui si legava alla mia immagine, ma non ho dato seguito a nulla.
Un’altra cosa che mi colpisce del tuo essere artista è la tua apertura ad altri di artisti, a volte anche giovani, nelle tue mostre.
Io ritengo che sia molto importante. Non è un atto di pietà ma con tutti gli artisti che apprezzo stringo una relazione. Ci scambiamo delle opere e cominciamo a parlare dei nostri interessi. Il dialogo ci porta a parlare di opere e mostre. Lo spazio a Trevi già di solito ha una piattaforma per artisti giovani. E se il museo curava la mia mostra io potevo occuparmi dei giovani. Questa è una cosa che voglio continuare. È un’energia di cui abbiamo bisogno.
È qualcosa che hai acquisito a Londra?
Sì, l’ho fatto fin da giovane. Capita che i grandi artisti curino mostre di artisti ma la maggior parte delle volte ci sono relazioni tra gallerista e artista, e sulle vendite il gallerista/curatore prende una percentuale. Io non prendo mai niente dalle vendite delle opere degli artisti che curo io.
Tagliente nelle analisi e spietato narratore dei mali generati dall’essere umano all’essere umano, Franko B continua il suo personalissimo percorso di ricerca artistica e, il 10 dicembre, a Palazzo Lucarini si potrà assistere all’esplorazione del suo operato e approfondire la conoscenza dell’artista attraverso la proiezione di un documentario a lui dedicato.
Francesca Pieroni