Franco Arminio è un poeta, scrittore e regista italiano che ama definirsi paesologo. Ama i paesini dove non c’è molta gente, quelli sperduti che di solito sono anche molto belli. La sua raccolta di poesie Cedi la strada agli alberi. Poesie d’amore e di terra è suddivisa in sezioni. Una racconta di paesaggi e paesi di cui Arminio ha parlato più volte, l’altra della brevità dell’amore in cui predomina un forte senso del corpo femminile. Elementi ricorrenti sono il seme e la vecchiaia, età dolente in cui si è spesso soli. Termina con delle riflessioni al tempo della rete una sorta di solitudine in cui siamo insieme ma ognuno è per conto suo.

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Ritratto di Franco Arminio.

Una penna rossa, un’agenda di finta pelle ed una 127 verde hanno accompagnato i primi momenti in cui scrivevi le poesie. Perché?

Erano anni in cui scrivevo in maniera feconda, i primi versi li ho scritti nel gennaio del ‘76, usando una penna rossa ed un’agenda di finta pelle. Nella 127 verde dettavo versi alla ma fidanzata di allora che oggi è mia moglie.

Il seme è un elemento ricorrente nelle tue poesie. In una scrivi «Non ti affannare a seminare». Non è un po’ un controsenso, visto che spesso diciamo “Chi ben semina raccoglie”?

Non è un verbo negativo in questo caso perché non è legato agli affanni del seminare ma piuttosto a quello dello scrivere versi.

«Sorridi all’Umanità». Perché si aggroviglia su se stessa?

C’è un certo dissenso per la china che ha preso l’umanità e per questo sistema basato su troppe decisioni sull’economia che non apprezzo.

«Vivere è un mestiere difficile per tutte le età». Per quale è più difficile?

Ritengo che sia la vecchiaia ma in questo momento storico lo è anche per i giovani, per la mancanza di prospettiva, per la mancanza di lavoro. È chiaro che è un momento difficile per tutti.

«Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane». Perché citare queste persone?

Apprezzo tutti quelli che hanno una certa manualità. La poesia è un fare ed io mi sento molto vicino ai contadini.

«La radice del male era nell’amore impossibile per mia madre». Perché impossibile?

Mi riferivo alla relazione tipica di un bambino che ama la mamma ma non può possederla. Ovviamente è legata al complesso edipico.

Perché hai la sensazione di un “Italia annidata sull’Appennino”?

È un mio gusto estetico, mi piacciono i posti dove non c’è molta gente, i paesi sperduti che nella maggior parte dei casi sono molto belli.

Un altro tema ricorrente è la vecchiaia.

Trovo che sia una situazione dolorosa e nasce da ciò il mio amore e la mia clemenza per i vecchi. Vivono un passaggio più delicato rispetto ad altri.

Cosa è successo alla poesia al tempo della rete?

Da una parte circola di più ed il successo del mio libro ne è la prova. La rete è comunque un luogo che va preso con le pinze. È un luogo in cui si amplifica, è una malattia del nostro tempo che vedo come una sorta di solitudine in cui siamo tutti insieme ma ognuno per conto suo.

Chi è il tuo poeta preferito?

In passato era Giacomo Leopardi e adesso Giorgio Caproni.

Elisabetta Ruffolo

La foto di copertina rappresenta un momento del festival di paesologia La Luna e i Calanchi, diretto da Franco Arminio e tenutosi ad Aliano nel 2016.