Sembra che il 7 sia una costante nella vita di Michele La Ginestra, direttore artistico del Teatro 7, conduttore su La7D e dopo 16 anni (la cui somma fa 7), torna sul palcoscenico con Sergio Zecca in Due di notte in scena al Teatro 7 fino al 22 gennaio. Lo spettacolo racconta la storia di due conduttori radiofonici, in una diretta notturna, nel periodo prenatalizio. La conduzione è bislacca, per mancanza di telefonate i due le inventano e ognuno ha la sua storia da raccontare. La sintonia tra i due è perfetta e tra una canzone e una dedica emergono le loro paure e anche le loro passioni. Michele La Ginestra interpreta Leo Battaglia, Sergio Zecca è Vanni Martini. Nei loro ricordi anche la Roma di un tempo e la loro grande amicizia. Due mattatori che sanno stare in scena e non perdono il ritmo anche quando squilla un cellulare in platea e inventano una battuta sul momento che sembra scritta nel copione da sempre. Michele La Ginestra ha da sempre la passione per il teatro, la sua costanza lo ha premiato con grandi successi. A maggio tornerà al Teatro Sistina con M’accompagno da me, intanto tra regie, cinema, televisione, da bravo artigiano dello spettacolo, ha costruito il palcoscenico del Teatro 7 lì dove c’era quello dell’oratorio della parrocchia che frequentava da bambino. Un palcoscenico utile e nello stesso tempo centro di aggregazione per i giovani per insegnare loro che il teatro è divertente e dice anche delle cose importanti.

La laurea in Giurisprudenza e la passione per il teatro. Cosa è scoccato?

Da bambino ho fatto il Teatro della Parrocchietta, mi piace tanto chiamarlo così che oggi è il palcoscenico del Teatro 7 perché questo è l’ex salone dell’oratorio di quando eravamo piccoli. Ho sempre avuto una grande passione per il teatro ma quando sei figlio di due professori universitari, il concetto era studiare. Mi sono laureato in legge, sono diventato avvocato però ho sempre mantenuto la passione per il teatro. Conducendo in parallelo i due lavori, alla fine ha vinto la passione per il teatro.

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Michele La Ginestra e Sergio Zecca durante lo spettacolo Due di notte.

I tuoi cosa hanno detto di questa scelta?

Ne sono stati contentissimi, mio padre purtroppo non ha visto l’evolversi della faccenda però ha visto l’inizio e ne era contento. Se fai il tuo dovere, dai anche una serenità a un genitore che vede un figlio inseguire un sogno un po’ difficile da mantenere. Purtroppo il mondo dello spettacolo regala grandi possibilità di sognare ma poi chi li realizza questi sogni è un numero limitato di persone. In tutte le cose ci vuole costanza.

Due di notte che storia racconta?

Di due conduttori radiofonici che devono fare i conti con la vita. Dietro una maschera c’è sempre un essere umano che combatte le fragilità, le difficoltà. Questi due personaggi sono molto amici e inseguono una passione, uno che è quello che interpreto io insegue il gioco, l’altro interpretato da Sergio Zecca è ancora innamorato dell’ex moglie. Questi due elementi verranno fuori durante lo spettacolo. Di fondo c’è questa conduzione radiofonica, un po’ bislacca, un po’ al limite del verosimile. Riesce a raccontare in maniera divertente la storia di un’amicizia attraverso l’escamotage della radio. Evidenzia che si può ridere e giocare anche in un momento difficile della propria vita.

DUE DI NOTTE 12 foto Alessandro De Luca

Michele La Ginestra. Foto di Alessandro De Luca.

È stato più facile lavorare con Sergio Zecca con il quale avevi già fatto altro?

Sergio lo vedo tutti i giorni da vent’anni perché lui è il direttore artistico dei nostri laboratori teatrali. È un rapporto trentennale come la storia del nostro teatro. Da piccoli facevamo teatro entrambi, eravamo gli attori del quartiere. Ci conoscevamo già e quando ho deciso di aprire il Teatro 7, la prima persona che ho chiamato è stato lui e Massimiliano Bruno. Loro hanno aderito molto volentieri, poi Massimiliano è cresciuto, è diventato regista cinematografico, Sergio come dicevo prima è il direttore del laboratorio teatrale. Con loro ho un rapporto duraturo e molto divertente. È una serenità lavorare con una persona che sa stare sul palcoscenico che ha l’esperienza necessaria. Sono poche le volte che mi è capitato di pensare solo a recitare senza pensare a quello che fa l’altro. La stessa tranquillità l’ho avuta con Edy Angelillo, poter fare il mio e sai che dall’altra parte c’è uno che vale. Ci sono delle volte in cui uno dimentica una battuta, è distratto. Capita a me e può capitare a tutti. Dopo tanti anni riusciamo ad andare avanti.

Nel ’94 hai vinto la prima edizione di Beato tra le donne. Quanto ti ha aiutato quella vittoria nel lavoro? Perché hai partecipato? Ti aspettavi di vincere?

Non me l’aspettavo e non volevo partecipare perché era una gara e non si capiva cosa fosse. Mi convinse Fabio Lionello, il figlio di Oreste che faceva l’aiuto a Pier Francesco Pingitore e disse «È un passaggio su Rai 1, ti fai vedere da Pingitore». Fu così che accettai e mi ritrovai a vincere. La trasmissione era andata bene e decisero di fare il Gran Finale e vinsi anche quello. Il vantaggio è stato che ho vinto un viaggio in Brasile e ho fatto il viaggio di nozze. La macchina che avevo vinto, l’ho venduta e abbiamo pagato le nozze. Sto ancora con mia moglie. Da questo punto di vista mi ha portato fortuna ma da quello artistico no. Non ho sfruttato per nulla quella fama televisiva.

Hai avuto modo di lavorare con i grandi del teatro, Pietro Garinei, Valeria Moricone, Gigi Magni. Dicono che la migliore lezione sia guardare i Maestri al lavoro, cosa ne pensi?

È giusto. A parte Valeria, non ho avuto mai davanti qualcuno da cui apprendere perché bene o male, ho fatto sempre il protagonista, prima dei miei spettacoli, poi ho lavorato con dei colleghi bravi e quello è già un insegnamento, ho lavorato con grande piacere con Sergio Fiorentini che ha fatto un mio spettacolo che avevo pensato e scritto per lui e là ho imparato tanto, però non ho avuto quella fortuna di fare il teatro che dovrebbero fare i giovani, un po’ di gavetta. Il pranzo è servito ma tu devi stare tutte le sere dietro le quinte a vedere cosa fa il capocomico, non ho avuto questa fortuna ma l’ho fatto per conto mio, andando molto a teatro, vedendo tanti spettacoli ed imparando dai colleghi. Imparando anche dalle cose brutte.

Forse non esistono quasi più i Grandi Maestri da cui attingere…

Quando ho fatto Rugantino, chi voleva fare l’attore, stava là e guardava quello che facevamo noi. Quando faccio gli spettacoli qui, vedo che c’è gente che mi segue e ha voglia di stare dietro le quinte. Come tutti i lavori artigianali, devi rubare con gli occhi.

Dal ‘97 sei direttore artistico del Teatro 7 che definisci un Teatro giovane per i giovani. In che senso?

Il criterio era quello di costruire un palcoscenico che potesse essere utile a qualcuno e attraverso il quale, i giovani potessero trovare un centro di aggregazione. Attraverso il mezzo teatrale, poter comunicare dei messaggi importanti per la crescita personale. Tante volte c’è un’assenza positiva di messaggi dei media, è difficile poter cogliere degli stimoli personali che ti portino a una crescita o a uno scambio. Secondo me il teatro da questo punto di vista è formativo come lo è anche il fatto di poter salire su un palcoscenico insieme ad altri giovani per costruire un progetto comune, finalizzato ad aiutare anche qualcun altro con un passaggio ulteriore. Così è nato il Teatro 7, noi cercavamo di togliere i ragazzi dal bar, portarli qui ed avere come progetto comune, la costruzione di uno spettacolo teatrale. Crea amicizia, la possibilità di uscire allo scoperto per molti di loro, crea squadra. Il concetto importante era che insieme agli altri puoi fare qualcosa, da solo magari non ce la fai che è la cosa bellissima che il teatro ti insegna. A parte lo sport non ci sono altri campi che facciano squadra. L’idea ha funzionato tanto. Abbiamo costruito una onlus che si occupa di adozioni a distanza, una missione in Mozambico, abbiamo costruito scuole, un dormitorio. Attraverso il teatro siamo utili a qualcuno e questo progetto continua ad andare avanti. Il fatto che il teatro sia per i giovani è che noi diamo spazio alle giovani compagnie. I laboratori teatrali sono per i giovani, facciamo degli spettacoli per i bambini per far crescere in loro la voglia di andare a teatro. Cerchiamo di portare un pubblico giovane a teatro perché possano capire che il teatro non è una “rottura di scatole” ma che può essere una cosa molto divertente che dice anche delle cose importanti. Penso che negli anni ci siamo rafforzati e i risultati ci sono, si può sempre migliorare.

Sei un patito della poesia romanesca e ti piace in particolar modo Trilussa. Uno dei suoi versi recita «Tutto sommato la felicità è una piccola cosa». Che cos’è per te la felicità?

Una piccola cosa, sono ottimista di natura vedo sempre il bicchiere mezzo pieno e penso che comprendere dove stiamo andando, avere una meta da raggiungere o voler essere in qualche modo coerente con se stessi, sia essenziale. La felicità è data dalle piccole cose, dal sorriso di una persona che è contento di ciò che gli hai detto, dal fare o ricevere un favore, da una stretta di mano. Tutte queste piccole cose possono creare la felicità. Non ci rendiamo conto ma non apprezziamo le cose piccole. Ho imparato che le cose che facciamo abitualmente le troviamo noiose ma quando non le facciamo più ci mancano da morire. A me è successo che durante il servizio militare, mi mancava tantissimo la pizza che andavo a mangiare con gli amici il sabato sera. L’assenza di quel rito mi ha fatto capire quanto fosse bello parteciparvi. Bisogna saper cogliere la bellezza di ogni piccola cosa. Avere la possibilità di avere il Teatro 7 anche se piccolo dove puoi fare quello che vuoi ed è una grandissima cosa piuttosto che fare il protagonista di un grande progetto che non è tuo. Noi stiamo costruendo qualcosa, in piccolo ma la stiamo costruendo e questa è gioia infinita.

Prossimamente sarai al Sistina, vogliamo parlarne?

Sarò al Sistina e quella è una grande soddisfazione perché lì la mia carriera ha avuto una svolta con l’arrivo sul palcoscenico del Teatro Sistina con Rugantino. Ho fatto anche altri spettacoli, la tournée di Rugantino in tutt’Italia nel 2005, quando sono tornato a Roma e tutti mi chiedevano che fine avessi fatto, ho capito che era importante coltivare qualcosa di tuo, delle cose che potessero dipendere solo da te stesso. Sono stato fermo due anni e ho incamerato l’idea di non dover dipendere dagli altri e ho cominciato questo percorso che mi ha riportato al Sistina con il mio one man show M’accompagno da me e poter dire delle cose tue da un palcoscenico così grande e prestigioso è il massimo che si può ottenere dalla vita. Il Sistina dopo la morte di Garinei, un po’ è cambiato. Adesso che sono tre anni che è in mano a Massimo Piparo, sta ritornando ad essere il Sistina con la esse maiuscola. Fa cose grandiose, fatte come il Sistina di un tempo.

Venti regie, cinema, teatro e televisione. Hai deciso cosa fare da grande?

Voglio fare l’attore di teatro, la regia la faccio volentieri e è uno scambio di energie importanti. La televisione la faccio perché se non passi da quella scatola, è difficile “venderti” al di fuori. Poter seguire solo il teatro come faceva Bramieri un tempo anche se per adesso è solo un grande sogno. Il cinema l’ho fatto anche se poco, è un ambiente molto chiuso e difficile, mi piacerebbe farlo e bene. La televisione non mi dispiace affatto purché sia di qualità, ad esempio mi diverte molto fare Cuochi e fiamme su La7D. La fiction è divertente ma solo se è di qualità perché si insegue sempre qualcosa o qualcuno.

Elisabetta Ruffolo