Al Globe Theatre Silvano Toti, dal 21 luglio al 6 agosto, va in scena ENRICO V di William Shakespeare, adattamento e regia di Daniele Pecci, prodotto da Politeama Srl.
Daniele Pecci veste anche i panni del protagonista. Un testo che ha un legame fortissimo con il Globe visto che al suo interno, nel 1944 Lawrence Olivier ambientò emblematicamente l’inizio e la fine del suo colossal. Lo spettacolo si avvale di una traduzione agile e scorrevole curata dallo stesso Pecci; della presenza di un nutrito cast di attori, in gran parte giovani e giovanissimi; di costumi d’epoca e qualche elemento scenico. Il resto sarà invenzione come il teatro semplice richiede.
“Ma perdonate, signori/se menti pedestri e banali hanno osato/rappresentare su questo indegno tavolato/un così alto argomento. Può quest’arena contenere le vastità della campagna di Francia?”
Enrico V è un Re a pieno titolo che segna l’apoteosi della monarchia inglese sia contro gli oppositori interni che contro le potenze straniere rappresentate dalla Francia. È il dramma dell’orgoglio nazionale che mette in scena la vittoria riportata da un’esigua forza britannica contro un poderoso esercito francese ad Agincourt. È anche il dramma di una lotta interna al teatro tra l’altezza del mito da fondare e la fragile parola che deve servire a questo scopo. L’eloquenza patriottica è la protagonista dell’Enrico V, assegnata al Coro, ai personaggi principali e all’eroe principale, mescolando la magniloquenza del potere con la prosa della più minuta umanità.
Per The Martian.eu abbiamo intervistato Daniele Pecci.
Enrico V è l’opera meno popolare di Shakespeare rispetto a tutte quelle che ha scritto. Perché?
È un testo che si colloca in una popolarità medio bassa, certamente non è il più impopolare, soprattutto in Inghilterra dove invece è considerato un classico a tutti gli effetti. Erroneamente è considerato un dramma storico che parla di una piccola parte di storia inglese che a noi italiani interessa fino a un certo punto, la guerra dei cent’anni non la studiamo neanche a scuola. Questo testo racconta una frazione di quella guerra, in particolare quasi una sola battaglia e molti pensano che sia poco interessante. L’altro elemento è che come tutti i drammi storici si deve avvalere di una compagnia estremamente ricca e variegata oltre che di attori bravi. In un dramma storico ci sono almeno quaranta personaggi. Queste credo siano le ragioni che hanno portato l’Italia ad essere in qualche modo lontana da questo testo. Lo conosco e lo amo da tanto e grazie a Gigi Proietti abbiamo la possibilità di presentarlo al pubblico.
Che valenza ha questo testo?
Racconta una parte della storia inglese, utilizza il coro da un lato per accompagnare la narrazione del testo e spiegando tutto ciò che manca e dall’altro, poeticamente spiega al pubblico cos’è il teatro. C’è tutta una parte meta teatrale del racconto in cui Shakespeare narrando la storia inglese spiega anche al pubblico che cosa è il teatro e cosa deve aspettarsi da esso. In più c’è una sorta di commedia bassa in cui da un lato abbiamo i discorsi aulici, magniloquenti shakespeariani e dall’altro ci sono gli sporchi, i brutti, i cattivi e la commedia diventa quasi farsesca e a volte anche divertente; poi c’è il finale in cui il novello Re di Francia, Enrico V che deve conquistare la principessa di Francia, così come ha conquistato il Regno di Francia e deve sposarla. Entriamo in un momento di commedia che ci ricorda Molto rumore per nulla o Pene dell’amor perduto, quella commedia molto divertente ed intelligente basata sulla parola.
“Basata sulla parola” che significato ha oggi la parola visto l’impazzare dei social?
La parola per il teatro è tutto, è il cardine del teatro, il perno attorno al quale tutto ruota. Oggi la parola è importante perché di parole ce ne sono tante in un’epoca di eccesso di comunicazione che spesso magari significa assenza di comunicazione. La parola shakespeariana è sintetica, assoluta o da un altro punto di vista assolutamente prolissa e secondo me riconcilia con il mondo della parola.
Elisabetta Ruffolo