Stoccolma, Daniel Mantovani (Oscar Martinez) attende di essere annunciato, finalmente arriva il suo momento e di fronte ai regnanti di Svezia gli viene consegnato il premio Nobel per la letteratura.
Personaggio scomodo e spigoloso, il suo discorso è spiazzante: «Questo tipo di riconoscimento unanime è sempre direttamente e inevitabilmente legato al declino di un artista». Quando un’artista mette tutti d’accordo vuol dire veramente che il suo valore è finito?

Locandina del film Il cittadino illustre, di Mariano Cohn e Gaston Duprat.
Accade così al protagonista, dal suo ultimo romanzo datato cinque anni prima non ha più scritto niente, rintanato nella sua lussuosa residenza a Barcellona rifiuta tutti gli inviti e le partecipazioni a cerimonie, conferenze e convegni. Tutte tranne una. Quando infatti riceve la lettera dal sindaco di Salas, piccolo paese a settecento chilometri da Buenos Aires, che lo invita in Argentina per conferirgli il più alto riconoscimento, di Salas, quello di Cittadino Illustre, decide di accettare. Mai scelta si rivelerà più sbagliata.
Salas è il paese in cui è nato, che ha abbandonato da circa quarant’anni e dove non è più tornato. Tuttavia la sua produzione letteraria non si è mai liberata dalle sue radici, la sua terra e i suoi abitanti sono sempre stati protagonisti nei suoi romanzi. Ora che è arrivato a un punto morto della sua produzione letteraria è spinto a tornare dove tutto è cominciato. Prima di partire confida alla sua addetta stampa: «Ho fatto una sola cosa nella mia vita, andarmene, i miei personaggi non sono stati capaci di andarsene ed io di tornarci».
L’accoglienza è trionfale, avere in paese una celebrità è motivo di vanto e di orgoglio per tutti, ognuno vuole sentirsi importante, parte del suo mondo, avere un ricordo, di questo figlio di Salas che torna da eroe dopo aver fatto fortuna in Europa. Tuttavia presto il passato presenterà il conto con prepotenza e tutto peggiorerà drammaticamente in pochi giorni.
Il Cittadino Illustre è stato presentato in concorso alla 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ha riscosso grandi apprezzamenti di pubblico e un buon riscontro da parte della critica vincendo la Coppa Volpi come miglior attore grazie all’interpretazione di Oscar Martinez (famosissimo in Argentina).
Diretto da Mariano Cohn e Gaston Duprat con un linguaggio semplice e diretto e scritto magistralmente da Andreas Duprat, fratello di Gaston, è un’opera accurata e sottile che si muove tra la commedia amara e il dramma. Si ride a denti stretti, quasi imbarazzati a causa di tante situazioni ridicole, quanto purtroppo realistiche: dal giro sul camion dei pompieri con la reginetta di bellezza, al concorso di pittura.
Lo stile è grottesco e il tutto si muove tra l’assurdo e la tragica realtà con lo scopo di fotografare il ruolo dell’intellettuale tra il popolo, di rappresentare il difficile ruolo di chi non deve mai scendere a compromessi e di passare magistralmente da una realtà che sembra finzione a una finzione che è realtà.
Lo stile è povero, la fotografia è impastata e piatta, probabilmente per accompagnarci nella misera condizione del posto, tuttavia avrei preferito una veste meno volutamente trascurata.
Il ritmo è lento, ma funziona, perché la sceneggiatura, che è il vero pregio di questo film, è arricchita da trovate geniali.
L’esperienza di Daniel iniziata in pompa magna lentamente precipita verso un finale sorprendente, perché quando tutto sarà finito, forse, resterà qualcosa di più di una cicatrice.
Gianluca Grannò