Un titolo come il Tamerlano di Georg Friederich Haendel alla Scala è un bel passo avanti del grande repertorio barocco presso il massimo teatro milanese che invero non concede da troppo tempo lo spazio degno al massimo esponente del melodramma barocco. Un omaggio in tal senso si era avuto un anno fa con l’oratorio haendeliano Il trionfo del Tempo e del Disinganno, ma attesissima era un’opera con tutti i crismi della spettacolarità e del divismo rappresentato innanzitutto dalla star di immenso richiamo, Placido Domingo e poi dalle étoiles del canto specialistico barocco Bejun Mehta e Franco Fagioli, controtenori di comprovata grandezza e di fama internazionale. Ma il successo arriso all’operazione è dovuto a tutta una serie di equilibri musicali e scenici che hanno attraversato il palcoscenico e la sala del Piermarini: un Diego Fasolis sul podio dell’orchestra scaligera che ha investito la sua formidabile carica ritmico-dinamica nel suono di strumenti storici con “I Barocchisti” della RSI- Radiotelevisione Svizzera, uno spettacolo grandioso, straordinariamente correlato alle suggestioni musicali ed ai valori poetico-drammatici dell’opera, firmato dalla regia di Davide Livermore e cofirmato per la scenografia da Giò Forma, cui sono stati opportunamente declinati i doviziosi costumi di Mariana Fracasso, le luci di Antonio Castro e le pertinenti proiezioni di Videomakers D-Wok.

Placido Domingo. Greg Gorman LAO ©.
Ambientazione novecentesca al tempo della Rivoluzione d’Ottobre con allusioni cinematografiche che rendevano giustamente dinamica l’azione espressa dal carattere musicale frastagliato delle parti vocali e strumentali: il treno che viaggia tra steppe ventose e innevate si apre come un sipario e al suo interno accoglie un salotto mobile su rotaie; poi il salone di un Palazzo d’Inverno messo a soqquadro e invaso dalle truppe bolsceviche; movimenti scenici continui di inseguimenti e sparatorie tra soldati coordinati anche a rallenty e a replay sulla struttura ciclica delle arie con il loro dacapo. Molti brani solistici eseguiti dagli interpreti in salita e discesa dal treno e dalle scalinate del palazzo, altri in posizioni al limite dell’acrobatico. Troppi movimenti? Niente affatto: l’azione e il canto traevano vantaggio da un lavoro profondo di prossemiche e di invenzioni plastiche che rendevano pertinenti e perfettamente correlati con la musica sia i diversi tableaux vivants sia le varie movenze sceniche di figuranti e interpreti. Una delle opere più grandiose del barocco musicale, il Tamerlano haendeliano ha bisogno di interpreti di grande spessore, anche perché è fra i pochi melodrammi a finale tragico: la recita cui ho assistito il 27 settembre scorso ha esibito un Domingo, nella parte di Bajazet, dalla grande presenza scenica, cui si perdonano volentieri alcune piccole e trascurabili amnesie, nella considerazione di un’estetica che privilegia la sublimità dell’interpretazione rivolta più ad esprimere intenzioni che pienezza di mezzi vocali: sublime anche la grande scena del suicidio come è stata realizzata dal grande mattatore della scena lirica, cui segue un finale che rende impossibile ogni catarsi in seguito alla morte dello stesso Bajazet; il soprano Maria Grazia Schiavo in Asteria e il mezzo Marianne Crebassa in Irene, hanno dato un ottimo esempio di belcanto applicato alla gestualità scenico-vocale: la prima con qualche debolezza nel registro acuto, e la seconda con una disinvoltura ben sbalzata dall’ampiezza e dal notevole colore vocale; sorprendente anche la prestazione del controtenore Bejun Mehta nel title rôle, spigliatissimo nelle agilità e fornito di una rara uguaglianza e uniformità nella gamma con dizione chiara e ben amalgamata con la linea di canto fin dalla prima aria di presentazione Bella Asteria, il tuo cor mi difenda e la successiva più virtuosistica Dammi pace, o volto amato; apprezzabile lo sforzo di coprire la tessitura vocale in tutti i registri quello del controtenore Fagioli, ma il sensibile quanto inevitabile scalino di petto nella zona grave rendeva l’ascolto abbastanza faticoso e il suo gesto scenico meno spigliato in confronto al suo collega controtenore; artista peraltro dotato di grande magistero belcantistico, ha puntato molto sull’espressione drammatica del virtuosismo.

Diego-Fasolis. Foto Fasolis Barocchisti.
Nelle vesti di Rasputin, il basso Christian Senn nel ruolo di Leone (ottimo elemento dell’Accademia scaligera) ha sfoderato un timbro e una tenuta vocale di primo livello. Suggestioni notevoli nel finale scenografico dove la rarefazione degli elementi scenici corrisponde all’irrealizzabile catarsi. Il sensibile successo ottenuto dallo spettacolo e dagli interpreti fa pensare che, una volta abituato a frequentare il repertorio barocco haendeliano, il pubblico scaligero non ne potrà più fare a meno.
Andrea Zepponi
TAMERLANO
Opera in tre atti su libretto di Nicola Francesco Haym da Agostino Piovene
Musica di Georg Friedrich Händel
Tamerlano Bejun Mehta
Bajazet Plácido Domingo
Asteria Maria Grazia Schiavo
Andronico Franco Fagioli
Irene Marianne Crebassa
Leone Christian Senn
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici e “I Barocchisti” della RSI-Radiotelevisione Svizzera
Direttore Diego Fasolis
Maestri al cembalo Diego Fasolis, Andrea Marchiol, Paolo Spadaro
Regia Davide Livermore
Scene Davide Livermore e Giò Forma
Costumi Mariana Fracasso
Luci Antonio Castro
Video Videomakers D-Wok
Nuova produzione Teatro alla Scala Milano