Le Marocchinate – Il Prezzo del pane bianco scritto da Simone Cristicchi e Ariele Vincenti che ne è anche interprete. La regia è di Nicola Pistoia. In scena il 22 aprile al Barnum Seminteatro; a Piancastagnaio il 23.

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Al Teatro Tor Bella Monaca dal 25 al 27 aprile ci sarà la novità di un violinista in scena. L’idea è nata dopo un lungo lavoro di ricerca sia musicale di brani classici (Bach), sia popolari ciociari, riarrangiati col violino. Ci sarà anche musica araba riadattata per lo spettacolo. Non ci saranno due momenti separati tra la musica e la canzone né tra la recitazione e la musica, ma un lavoro di commistione con il musicista Marcello Corvino che partecipa dal punto di vista emotivo a quello che succede in scena. Un lavoro molto interessante. Questo spettacolo è nato senza musica ed all’inizio, il regista era un po’ scettico su questa cosa ma poi si è ricreduto e sono riusciti a trovare un giusto connubio tra la recitazione ed il suono del violino che diventa qualcosa di magico in scena e rafforza le emozioni. La data del 25 aprile, giorno della liberazione non è stata scelta a caso, si voleva mostrare anche l’altro lato della medaglia, il lato oscuro ciò che non tutti conoscono anche perché i libri di storia non la menzionano e che alcuni conoscono grazie al film La Ciociara. È stato fatto uno studio accurato per più di un anno, con interviste, consultando libri che trattavano l’argomento. Non è stato lasciato nulla al caso e ne è venuto fuori uno spettacolo che tocca le corde più profonde dell’anima. Il 6 maggio a Cassino, il 7 a Ciampino. A fine maggio a Cave vicino Roma ed il primo luglio a Castro dei Volsci.

Per TheMartian.eu abbiamo intervistato Ariele Vincenti.

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Ritratto di Ariele Vincenti.

 Chi è Angelino il personaggio che interpreti?

È un pastore che a distanza di quindici anni dai gravi fatti racconta ad un giornalista immaginario che va ad intervistarlo mentre pascola le pecore dei momenti vissuti in prima persona e soprattutto dello stupro che ha vissuto la moglie davanti ai suoi occhi. Ci sono dei momenti molto forti ma oltre a questi, ci tenevamo a raccontare com’era la vita di campagna prima della guerra. Ho raccolto un po’ di storie nel paese abruzzese di mia madre e gli altri dai libri ed abbiamo fatto un parallelo tra prima della guerra e lo sconvolgimento dopo l’arrivo delle truppe marocchine dette anche truppe di colore che erano aggregate alla Francia e facevano parte del Corpo di spedizione francese e vennero mandate a testuggine verso la linea Gustav o linea invernale che era la linea che andava dal basso Lazio fino all’Abruzzo. Questo muro che era stato costruito dai nazisti e che era rimasto inviolato da americani ed inglesi, ci provavano da quattro mesi ed avevano subito già numerose perdite, quasi quattromila soldati tra americani ed inglesi. L’esercito marocchino era abituato a combattere in situazioni estreme ed in soli due giorni riuscirono ad entrare nella linea Gustav. Gli era stato promesso qualora fossero riusciti nell’intento che avrebbero avuto carta bianca sulle popolazioni civili locali. Le famose cinquanta ore che poi in realtà non esiste un documento ufficiale del patto che venne fatto tra i Generali francesi e l’esercito marocchino. La cosa grave è che non furono cinquanta ore ma una ventina di giorni a scorrazzare per le campagne. Erano guerrieri di montagna. Immaginiamo cosa poteva essere il Maghreb negli anni ‘40.

Hai scritto il testo insieme a Simone Cristicchi. Com’è nato il progetto e com’è stato lavorare a quattro mani?

Anni fa Simone Cristicchi aveva scritto Mio nonno è morto in guerra ed ha raccolto molto materiale inerente la seconda guerra mondiale ed aveva fatto anche uno studio su le marocchinate e mi chiese di fare un monologo sull’argomento e di scrivere insieme il testo. Sono stato felicissimo, onorato perché lavorare con un artista come lui è un regalo che ti fa la vita. Dopo tanti anni di teatro questo rappresenta una nuova partenza. Mi ha insegnato a ricercare, la curiosità di scoprire queste storie dimenticate, l’Italia abbandonata di cui non ha parlato nessuno perché da un punto di vista politico nessuno aveva intenzione a renderla nota perché rappresenta una macchia della liberazione.

Il tuo personaggio ad un certo punto dice «Aspettavamo i salvatori…so arrivati i diavoli».

Ad un certo punto dello spettacolo, si racconta l’attesa di questi liberatori e il passaparola era che i tedeschi stavano indietreggiando, gli alleati erano finalmente riusciti a sfondare la linea Gustav ed in tutti questi Paesi c’era speranza, aspettavano il pane bianco, la cioccolata, che in seguito sono diventati l’immagine della liberazione. In realtà sono arrivati dei marocchini affamati che purtroppo hanno violentato migliaia di donne ma anche uomini, bambini. Hanno ucciso, bruciato case, rubato. Hanno fatto tutto quello che rientra nelle caratteristiche di un genocidio, a settanta km da Roma, 73 anni fa.

Il sottotitolo è “Il prezzo del pane bianco. Perché?

Nasce da un’intervista ad un prete di Pontecorvo che ha 80 anni e mi ha raccontato che da bambini aspettavano il pane bianco da parte degli americani. Questa cosa mi ha colpito molto e l’ho messa nello spettacolo in varie scene. Il pane bianco come simbolo della libertà che loro aspettavano.

Elisabetta Ruffolo