Anche il primo turno delle presidenziali francesi, assai più di quanto emerso nel Regno Unito durante il referendum sulla “Brexit” e negli Stati Uniti in occasione della sfida Trump-Clinton, ha certificato che, come amano dire i “radical chic” sedicenti illuminati, a votare i “populisti” sono soprattutto i vecchi contadini ignoranti. Parigi ha capovolto l’ordine di classifica nazionale dei primi due, con Macron vicinissimo al 35% e Le Pen addirittura sotto al 5%. Quasi lo stesso è accaduto in varie grandi città (ad esempio, il risultato di Lione ha fatto sì che la regione Rhône-Alpes non si aggiungesse alle altre otto, sulle tredici dell’Esagono, in cui ha vinto la portavoce di sovranisti), mentre nei centri minori l’esponente del Fronte nazionale ha fatto man bassa di preferenze, avvicinandosi spesso al 50% (o superandolo) e conquistando il primato in una cinquantina Dipartimenti. Va da sé che una siffatta situazione piaccia molto a quelli che non ritengono degna d’attenzione la circostanza che circa il 40% degli operai abbia optato per Marine Le Pen. Quanto accaduto ad Amiens conferma come ormai si viva in un mondo capovolto: la candidata sovranista applaudita da quello che si chiamava proletariato e quello del “liberismo di sinistra” (concetto che fino a qualche tempo fa era una contraddizioni in termini) accolto a suon di fischi e insulti. In un piccolo dibattito svoltosi sul mio profilo Facebook, un amico ha scritto: «Ho seguito i tg nazionali, Rai1, Rai2, Rai 3… Minimizzazione totale del risultato di Marine Le Pen, ma, soprattutto, nessuna analisi sul profondo disagio sociale dei francesi (povertà e cancellazione del “welfare state”, immigrazione selvaggia) che ha trovato espressione nel 21,7% degli elettori (Le Pen) più il 20% (che ha scelto Jean-Luc Mélenchon), per un totale, di circa il 42% dei voti; Emmanuel Macron più François Fillon (dunque l’“establishment” filoeuropeo e buonista) sono al 43%. La Francia è esattamente spaccata in due.
Nessuno l’ha evidenziato. Solo previsioni tronfie e apodittiche sul ballottaggio la cui vittoria è attribuita fin da ora a Macron». Sono d’accordo, ma segnalo che Nicolas Dupont-Aignan, “leader” di un altro movimento sovranista, per capirci “di estrema destra”, ha raccolto il 4,7% dei voti (quasi 1.700.000 in tutto), non proprio noccioline che non andranno di sicuro a Macron. Quest’ultimo probabilmente ha davvero l’elezione in tasca, però se fossi al posto suo e, soprattutto, dei suoi tifosi nostrani, ci andrei cauto con l’ottimismo. E devo dire che dopo aver registrato l’arroganza e la sicumera con le quali i “poteri forti”, cioè quelli finanziari, hanno commentato l’esito del primo turno elettorale, sinceramente ho un motivo in più per sperare nel… miracolo. Comunque vada a finire, però, auspicherei che dalle nostre parti cessi la mania di fotocopiare gli slogan elettorali di successo, specie se dei candidati progressisti. Accadde quando Barack Obama divenne “presidente del mondo”, secondo l’indimenticabile titolo a tutta pagina de “L’unità” targata Concita De Gregorio, e sta purtroppo già succedendo con “En marche” di Macron, subito tradotto nell’italianissimo “In cammino”. Peccato che, mentre nel caso francese le iniziali del “claim” e quelle del candidato coincidono, il che conferisce ulteriore forza e genialità a chi ha partorito l’idea originale, in Italia non esista un aspirante “leader” che possa siglarsi “IC”, cosicché il tutto si riduce a mera copiatura. Di solito le copie non sono mai all’altezza degli originali.
Claudio Puppione