L’Aja, meta decisamente meno battuta dalle scelte turistiche rispetto alla ben più cool Amsterdam, ma che nulla ha da invidiare rispetto alla più famosa città olandese.

Volendo dunque variare sul tema, L’Aja si presta decisamente bene per un itinerario alternativo, carico di cultura (e non solo). Jan Vermeer è di casa qui ed ammirare i suoi dipinti vale già il viaggio di per sé. Ma limitare una visita a L’Aja per vedere esclusivamente le incredibili tele del Maestro fiammingo sarebbe decisamente riduttivo, seppur oggettivamente appagante. La città rende infatti omaggio ad un altro grande artista olandese assolutamente degno di nota, Maurits Cornelis Escher (1898 – 1972), e lo fa non solo con una mostra ma con un intero museo a lui dedicato. Peraltro, non un museo qualunque, bensì l’ex Palazzo Invernale della Casa Reale, utilizzato fino al 1991. Un omaggio di rilievo dunque, a sottolineare l’importanza che Escher ricopre nel panorama artistico olandese contemporaneo e, inopinabilmente mondiale. Sebbene infatti ad alcuni il suo nome potrebbe risultare poco familiare, le immagini dei suoi capolavori hanno talmente influenzato il quotidiano moderno che è praticamente quasi impossibile non aver almeno una volta incrociato con lo sguardo uno dei sui capolavori.

Oggi il museo è comunemente conosciuto con il nome di Escher in het Paleis e, sebbene entrare in un palazzo di alta rappresentanza sia già di per sé una bella esperienza per assaporare l’allure di quei luoghi, la vera magia comincia con l’avvicinarsi alle stampe dell’artista, disposte su tre piani. Un puro godimento per gli occhi e, attraverso essi, montagne russe per la mente.

Il visitatore è immediatamente catturato da un senso di piacevole smarrimento. Escher riesce, attraverso i suoi disegni – e definirli disegni è senza dubbio riduttivo – ad affascinare un pubblico senza età, con il suo mondo magico, a volte immaginario, dominato da illusioni ottiche e prospettive che rasentano l’inimmaginabile, basti pensare alle mani che si disegnano reciprocamente, o al famoso flusso di acqua “a monte” in cui bidimensionalità e tridimensionalità giocano a prendere in giro la mente di chi osserva o, ancora, ai sette metri (…7m.!) di stampa lineare (Metamorphosis II) lungo la quale i tre elementi acqua, terra e aria si trasformano gli uni negli altri in una illusione ottica senza soluzioni di continuità, in cui muri diventano pesci che diventano uccelli che diventano rettili che diventano figure umane che diventano…. semplicemente magnifico. Un evidente collegamento ai concetti di eterno e di infinito così presenti in molte delle opere del geniale olandese.

Nelle stampe basate sull’idea di eternità, la natura, la prospettiva ed il riflesso giocano un ruolo centrale. A leggere quest’affermazione si potrebbe facilmente rilevare che nulla di più di quanto per secoli fatto da svariati artisti. Vero. Ma poi ci si imbatte davanti a queste stampe e diviene chiaro che con Escher tutto è portato al limite, il tema dell’infinito abbraccia principi matematici (peraltro studiati da alcuni matematici che con Escher, negli ultimi anni della sua vita, hanno interagito), studi sulla divisione dei piani, le multiple sfaccettature di stelle e pianeti, fino alla struttura dei cristalli.

Attraversando le sale appare chiaro che eternità ed infinito nel lavoro di Escher sono di norma proposti dall’artista in modo distinto. Così come chiaro appare che certi soggetti tradizionali legati alla natura sono sostanzialmente riconducibili al suo periodo italiano (1924-35). E dall’Italia di quegli anni assorbì molto. Era l’Italia del Futurismo. Concetti e tratti nuovi che Escher inizia a mescolare con gli studi sulle tecniche e l’uso degli spazi di Piranesi, chiaramente visibili in alcune “vedute”, scorci paesaggistici di una Italia di inizio secolo.

Ma è dal ’37 in poi che vi è un’esplosione di infinito, attraverso l’applicazione di quei principi appena accennati. Ovviamente i due periodi non sono nettamente distinti, la contaminazione reciproca è ben evidente con opere di assoluto spessore, come “Three Worlds” e “Puddle”. Quando nel ’37 riprese in mano il tema della tassellazione, la cui prima esplorazione risale al 1922, la natura ancora (e per molto) lo ispirò sotto forma di uccelli, pesci e rettili.

Cicli, spirali infinite, (geniali) metamorfosi, moti perpetui, spazi interconnessi. Questi sono per Escher il punto di collegamento tra eternità e infinito. I temi matematici (assolutamente inusuali a quel tempo nelle opere di qualunque artista) vanno oltre i tradizionali confini dell’arte, dando alle stampe di Escher una potenza ed un senso di misticismo unici nel panorama artistico mondiale, condividendo in tal senso qualcosa con artisti diametralmente opposti come Leonardo e Gaudì.

Lo spazio sembra essere l’ossessione che permea l’intera opera dell’artista. Non certo inteso quale mero piano su cui rappresentare il mondo reale, con Escher la percezione dello spazio diviene incerta allo sguardo, in esso figure piatte appaiono tridimensionali sebbene il cervello ci dica che non possono esistere nello spazio. Illusione costante. Questo è Escher. La sua opera unisce realtà e immagine in un mondo che pur conoscendo geometria e prospettiva, mette alla prova lo spettatore rovesciandone costantemente la teorica razionalità. Nel percorrere le sale ne sono chiaro esempio opere come “Cielo e Acqua” del ’38, “Altro Mondo II” e “Stelle” del ’47…solo per citarne alcune.

Si è letteralmente rapiti. Lanciando la mente in alto per poi rituffarsi verso il basso in un continuo sali scendi sensoriale attraverso un universo che sembra non avere fine, che ben allena la mente, prendendola in giro un po’. In punta di matita. Rigorosamente in bianco e nero.

Sconsigliato (si fa per dire) a chi soffre di vertigini.

Massimo Fusaro