L’ambiente urbano ha da sempre presentato caratteristiche peculiari tali da renderlo oggetto di particolari attenzioni dal punto di vista addestrativo e dottrinario. Tutte le analisi tratte da esperienze storiche di battaglie condotte in grandi città sono concordi nell’affermare che si tratta di operazioni particolarmente difficili che spesso richiedono un grande dispendio di risorse umane e materiali.

Cenni storici

Nel passato la cosiddetta “guerra d’assedio” ha sempre rivestito un ruolo molto importante nei conflitti dell’antichità e del medioevo. Difendere le proprie città, o conquistare quelle dell’avversario, rappresentava spesso un obiettivo di primaria importanza. La disciplina destinata allo studio ed alla realizzazione di opere difensive (castelli, fortezze piazzeforti ecc.) poste a protezione dei principali centri urbani assumeva il rango di vera e propria branca dell’arte militare.

L’avvento e la sempre maggiore potenza delle artiglierie, una parte delle quali specificamente destinate a battere le fortificazioni del nemico, da cui la denominazione di “artiglieria d’assedio”, ha progressivamente reso inutili le classiche cinte murarie che difendevano le città dai tempi della guerra di Troia. Ciò non ha però privato i centri abitati di quella che è sempre stata una loro specifica caratteristica dal punto di vista militare: quella di possedere un elevatissimo valore impeditivo nei confronti di qualsiasi manovra o azione offensiva che venga effettuata contro di essi.

Praticamente tutti gli esempi di grandi battaglie condotte nei centri urbani, le più importanti e famose delle quali hanno avuto luogo a partire dal secondo conflitto mondiale, tendono a confermare questo dato. Sulle rive del Volga, i feroci combattimenti tra le rovine di Stalingrado hanno di fatto segnato la fine della grande offensiva della Wermacht verso il Caucaso, creando le premesse della prima grande sconfitta dell’esercito tedesco. Durante la campagna d’Italia, la posizione di Cassino, con il suo abitato circondato da alture, ha sbarrato la direttrice della valle del Liri per mesi, inchiodando la Quinta Armata alleata in una delle battaglie più sanguinose di tutta la seconda guerra mondiale. Ma anche in altre circostanze gli scontri avvenuti in corrispondenza di grandi aree edificate hanno sistematicamente fatto emergere una delle caratteristiche principali di questa forma di lotta: quella di favorire grandemente il difensore e poter rappresentare un ostacolo formidabile nei confronti di qualsiasi azione offensiva. Sempre in Italia, nel dicembre 1943, la cittadina adriatica di Ortona, passata alla storia come la “Stalingrado d’Italia”, impegnò 1a divisione di fanteria canadese in un attacco prolungato ed estremamente difficile contro i paracadutisti germanici della 1a divisione Fallschirmjager, rallentandone inesorabilmente la progressione. Ad Arnhem, nel corso dell’operazione “Market Garden”, il 2° battaglione paracadutisti britannico riuscì a resistere per 3 giorni ai violenti attacchi delle unità del II° corpo corazzato SS, dovendo poi soccombere solo perché completamente isolato.

Sulla base di queste esperienze nel secondo dopoguerra le dottrine della maggior parte degli eserciti erano concordi nell’affermare che nelle operazioni offensive l’impegnarsi a fondo in una battaglia urbana era un’eventualità da evitare ogniqualvolta possibile. Eppure, questo tipo di combattimenti hanno continuato puntualmente a verificarsi. In Vietnam la battaglia combattuta nella città di Huè, nel febbraio 1968 durante l’offensiva del Tet, rappresentò una delle prove più ardue per le unità della 1a divisione dell’USMC che vi presero parte. In Cecenia, nel dicembre – gennaio 1994-95 e nell’agosto 1996, i reparti russi che agirono nella capitale Grozny pagarono un prezzo altissimo alla loro impreparazione che determinò, proprio tra le rovine di quella città, cocenti sconfitte per le truppe di Mosca. La imprescindibile necessità di pianificare in modo molto accurato un attacco contro una grande area urbana, impiegandovi nel contempo truppe ben equipaggiate e soprattutto addestrate ad operare in tale contesto, è stata inequivocabilmente dimostrata anche dalle esperienze più recenti, quali l’operazione “Phantom Fury”, condotta a Falluja nel novembre 2004 dalle truppe americane e l’operazione “Cast Lead” che le forze israeliane hanno condotto a Gaza nel dicembre-gennaio 2008-2009.

Combattimento negli abitati: un male necessario.

In operazioni di guerra ad intensità medio-alta qualsiasi forza terrestre che voglia eseguire una manovra offensiva cercherà costantemente di non attaccare direttamente un centro abitato. Per contro chi conduce una battaglia difensiva tenderà ad appoggiare le proprie difese proprio in corrispondenza di queste aree ogni volta che gli sarà possibile, sempre che sia disposto ad accettare il fatto che in tal modo ne determinerà la virtuale distruzione. In ogni caso il processo di urbanizzazione in atto nella maggior parte dei paesi del mondo rende pressoché ineluttabile l’esigenza di prepararsi ad operare in un ambito come questo, ancorché da tutti ritenuto estremamente difficile. È stato calcolato che nel 2025 dal 57% al 67% della popolazione vivrà in grandi aree urbane le quali continueranno costantemente a crescere dal punto di vista delle dimensioni, della complessità e delle connessioni tra esse. Inoltre la tipologia di operazioni quali quelle diverse dalla guerra (peace-keeping/peace-enforcing) e quelle relative a conflitti asimmetrici condotti contro forze irregolari e “insorgenti”, così caratterizzanti gli scenari più attuali, si svolgono sempre più spesso in corrispondenza di città e centri abitati di vario tipo. Da notare poi il fatto che, in ambito nazionale, due tra le azioni di combattimento più importanti dalla fine della Seconda Guerra mondiale che hanno visto protagonisti reparti italiani, la “battaglia del check-point pasta” in Somalia nel luglio 1993 e le “battaglie dei ponti” di Nassiryah in Iraq nella primavera-estate del 2004, hanno avuto luogo proprio in corrispondenza di centri abitati.

Questo ambiente operativo presenta caratteristiche peculiari di cui occorre tenere conto se non si vuole andare incontro a grandi rischi. Innanzitutto, ogni area urbana corrisponde a una determinata tipologia che a seconda delle sue caratteristiche condizionerà fortemente un’operazione militare che si svolgerà in essa. La maggior parte delle città può essere assimilata a modelli costruttivi quali quello “radiale”, a “corone circolari”, a “scacchiera”, ecc. ecc. e questo modello determinerà quasi certamente anche le caratteristiche delle azioni che vi si svolgeranno. A seconda della sua tipologia infatti un centro abitato potrà produrre, ad esempio nei confronti di un attaccante, un effetto di bloccaggio, di dispersione o al contrario di canalizzazione delle sue forze. Tutta una serie di fattori aggiuntivi vanno poi a sommarsi: le vie di comunicazione, la presenza di punti nevralgici quali porti e aeroporti, aree industriali e il sottosuolo sono tutti elementi da tenere in considerazione che possono rappresentare obiettivi da difendere o attaccare. Inoltre la presenza di masse anche rilevanti di popolazione civile e di monumenti e opere storiche di rilevante valore simbolico, costituiscono variabili in molti casi estremamente importanti.

Appare dunque chiaro che prepararsi ad operare nelle città è una parte integrante dello spettro di missioni che le unità terrestri devono assolvere e che si tratta di compiti che possono anche possedere un elevato grado di complessità. Non è un caso quindi che il cosiddetto FIBUA (Fighting in Building Area) o secondo una terminologia più recente le MOUT (Military Operations in Urban Terrain) rappresentino una parte importante dell’addestramento degli eserciti moderni e che in molti casi siano state create strutture ad hoc per poterlo condurre nel modo più realistico possibile. In diverse nazioni sono stati infatti realizzati centri di addestramento al combattimento urbano con la realizzazione di veri e propri “villaggi/cittadine”, il più possibile simili a quelli reali, dover poter condurre cicli addestrativi di intere unità. Se questa forma di combattimento deve essere considerata come un “male necessario” è anche un assioma unanimemente riconosciuto come essa richieda un tipo di addestramento specifico e molto accurato.

Fabio Riggi