Premessa.
La complessità della comunicazione inter-culturale (cross-cultural communication – C-CC) è uno dei fattori con i quali la Forza Armata è chiamata a confrontarsi, con difficoltà variabile, in tutti i teatri operativi d’intervento dove siano in corso missioni di pace, per la sicurezza e “combat”. Questo articolo si basa sul principio che vuole la “prospettiva dei sistemi sociali” come base teoretica necessaria e fondamentale per l’applicazione della C-CC. Ma cosa si intende per “prospettiva dei sistemi sociali”[1]? In breve, il “sistema sociale” è una macro categoria all’interno della quale gli elementi che la comprendono includono la famiglia, gruppi etno-culturali, ma anche le organizzazioni statali; il “sistema sociale” è un’unità complessa formata da molteplici e differenti componenti soggette a un “piano comune” o assoggettate a un comune scopo. Il “sotto-sistema” è basato su individui o gruppi di persone che interagiscono e mutualmente si influenzano nell’atteggiamento e nei comportamenti sociali. Infine, la” società” è un sistema di sotto-sistemi. Dunque, l’adozione di una “prospettiva dei sistemi sociali”, così come brevemente sintetizzata, è valutata come contributo essenziale alla definizione della “fotografia sociale” delle aree geo-socio-culturali nelle quali le unità della Forza Armata sono chiamate a operare. In estrema sintesi, per affrontare lo studio di un’area geografico-culturale a fini operativi è dunque necessario e ineludibile un approccio basato sulla capacità di raccolta informazioni e confronto teoretico-pratico che solamente l’Alta Formazione e gli strumenti politico-storico-sociologici ed etno-antropologici possono garantire; strumenti che possono essere assicurati, non da brevi lezioni frontali, bensì dall’estensione di contributi quali, ad esempio, il progetto del “Consulente per l’Intermediazione Culturale[2]” (o “Unità di intermediazione culturale”) e il seminario in “Società Culture e Conflitti[3]”, entrambi dal basso costo e dall’elevato impatto qualitativo-formativo. Contributi, frutto della commistione di processi formativi (scambio di informazioni ed esperienze) di tipo bottom-up e top-down, e conseguenza di una condivisa volontà di preparare il personale militare con uno specifico e definito criterio culturale, contribuendo, al contempo, al fondamentale processo intelligence[4]. Vediamo nel concreto, quali gli sviluppi di un opportuno approccio socio culturale prendendo ad esempio quanto fatto da italiani e americani nella valle del Murghab.
Il distretto di Murghab.
Il distretto di Murghab è situato nella parte centro-settentrionale della provincia di Badghis a nord-ovest dell’Afghanistan. Confina con il Turkmenistan a nord ed è circondato dai distretti di Muqur, Qadis, Jawand, Ghormach, della provincia di Badghis e dal Distretto di Qaysar della vicina provincia di Faryab. Il capoluogo del distretto è Bala Murghab. «La maggior parte della popolazione del distretto vive nell’omonima valle. Il distretto ha 133 villaggi»[5] -324 considerando anche i gruppi di case isolati- che coprono un’area di 4.491 chilometri quadrati. «La popolazione nel distretto di Murghab è di 109.381 abitanti secondo una stima fatta nel 2003. Oggi, la popolazione della valle del Murghab è stimata tra i 100 e i 125,000 abitanti»[6]. «La provincia rimane ancora saldamente in mano ai tagiki sebbene il goveno centrale abbia finora nominato governatori di etnia pashtun per dare una forma di tutela all’etnia minoritaria della provincia. Solo il distretto di Murghab rimane un area a maggioranza pashtun» [7] con una enclave tagika nel villaggio di Quibcaq. Il distretto, che ha visto la presenza militare del Contingente nazionale dall’agosto 2008 al settembre 2012 e che per molti analisti è stato «il settore più caldo dell’intero ovest presidiato dagli italiani, almeno fino a quando, nel settembre 2010, i nostri militari non assunsero il controllo di Bakwa e Gulistan»[8], non è ancora completamente pacificato e vede oggigiorno la presenza di un battaglione dell’Afghan National Army nella base operativa avanzata che fu sede delle forze di ISAF lì impegnate. Quest’area, dopo 4 anni di impegno militare italiano, passata da circa un anno alle dipendenze delle forze di sicurezza afghane, risulta ora un importante laboratorio per analizzare quali siano i sentimenti della popolazione verso la compagine governativa e verso le forze che da un decennio combattono i nemici dell’Afghanistan avendo come centro di gravità la popolazione stessa.
La convivenza obbligata con gli estremisti.
I sentimenti della popolazione del distretto di Murghab verso la realtà politica locale, le forze di sicurezza afghane e verso la presenza internazionale italiana e americana sono disomogenei e variegati: si va dal sostegno alla ferma opposizione degli estremisti, con un’alta percentuale di attendisti. «La maggior parte della popolazione di Murghab è indifferente al conflitto tra forze governative e insorti, non gli piacciono le decisioni della politica locale che reputano spesso inefficaci ma non per questo appoggiano le azioni armate dei talebani»[9]. In fin dei conti, comunque vada a finire, è opinione comune che la vita della popolazione non subirà in nessun caso degli stravolgimenti radicali. «Sono molti quelli che vedono le migliorie successive alla presenza internazionale e stanno cambiando idea. Ma è un processo lento. La popolazione qui non ha energia elettrica né acqua nelle case, non conosce la radio e la televisione, è scarsamente alfabetizzata. Alcune capre sono spesso tutto quello che una famiglia possiede. Stiamo parlando di persone che non conoscono alcuna realtà al di fuori del proprio villaggio e quello limitrofo»[10]. Certo c’è spesso molta curiosità: «In alcune zone del Murghab» infatti «la gente è molto ricettiva ai nuovi impulsi della politica ed è contenta della presenza internazionale, in altre è congelata dalla paura di eventuali rappresaglie talebane»[11] dice Abduhl Shokor, passato sindaco di Bala Murghab. La gente di Murghab, sebbene non apprezzi particolarmente il governo locale, non apprezza neppure la violenza costante perpetrata dai nemici dell’Afganistan ai danni della popolazione né la raccolta di tributi che questi chiedono per il mantenimento delle loro forze. «Questa forma di estorsione “legalizzata” non richiede per forza il pagamento di somme in denaro ma, essendo etichettata dai talebani come “zakat” (dono volontario dei beni superflui di ciascuno buon musulmano) dà ai talebani la possibilità di spogliare la popolazione di ogni tipo di bene ritenuto “di troppo”»[12]: denaro, colture o animali sono quindi oggetto di saccheggio in nome della carità islamica. Nonostante questi soprusi però «la popolazione non se la sente di appoggiare a pieno la controparte governativa» anzitutto «perché quest’area, oggetto di quasi trent’anni di guerre, ha visto spesso capovolgimenti continui di fronte che l’hanno resa attendista per natura (e per necessità)»[13]; in secondo luogo la gente nutre il dubbio che ai tributi agli estremisti si sostituiscano presto quelli del governo nazionale o locale e che quindi le condizioni di vita non subiscano sostanziali differenze appoggiando gli uni o gli altri. Non bisogna poi dimenticare che «i talebani hanno una notevole influenza nel Murghab, perché sono in gran parte locali e parte integrante della società, cosa questa che rende non sempre semplice per il personale della Coalizione dividere gli insorti dalla popolazione»[14]. L’ideologia dei nemici dell’Afghanistan, inoltre, non è completamente estranea alla popolazione sia per i richiami alla religione mussulmana, sia per quello che è rimasto del passato governo del paese, sia per questioni di parentela. Per questi motivi, molto spesso, anche coloro i quali sono personalmente contrari alle loro idee non se la sentono di combattere gli estremisti perché: «è come avere in casa un parente “matto”, molte volte dice cose senza senso ma poi in famiglia tutti chiudono un occhio»[15]. Non bisogna poi dimenticare che i talebani sono di etnia pashtun e la popolazione della valle di questa etnia, in ultima analisi, si sente più a suo agio con i propri familiari o con persone a loro simili che con le forze della Coalizione o con i membri del governo provinciale, che sono tagiki. Ma al di là delle differenze di etnie, che risultano comunque importantissime in un mondo tribale come quello afghano, «la gente di Murghab, che è poco influenzabile dagli ideali ma molto pragmatica, finirà per sostenere chi nella contingenza li avvantaggerà di più, tenendosi comunque buona una “via d’uscita” qualora prevalga la parte precedentemente non supportata»[16]. A questo proposito è utile ricordare come «in Afghanistan le persone sono solite pensare a se stessi come membri di una tribù o di un villaggio e non come “afghani”, cosa questa che rende incredibilmente sottile la connessione tra loro e il governo nazionale»[17].
La percezione delle forze di ISAF.
«Il rapporto dei locali con i militari di ISAF è stato per lunghi anni un rapporto quasi inesistente, solo l’avvicinarsi della guerra» nei punti più remoti della provincia di Badghis, «ha fatto entrare veramente a contatto gli abitanti con i militari della forza internazionale. Le prime reazioni della popolazione», conseguenti alle azioni dei MARSOF (acronimo di Marine Special Operations Forces, le forze per le operazioni speciali dei Marines), «furono di forte condanna per gli occidentali»[18]. Una prima ricaduta delle azioni degli occidentali fu quindi la radicalizzazione del conflitto: «se prima la popolazione era stata completamente insensibile ai richiami dei talebani, sia per la sua naturale propensione all’attendismo sia per non aver mai visto in faccia “il nemico” tanto vituperato dai talebani, ora, avendo i militari internazionali sul proprio territorio diventava più sensibile al richiamo alle armi per supportare l’ideologia talebana»[19]. La difficile situazione che fin da subito i militari americani di “Enduring Freedom” si trovarono di fronte richiamò sul terreno un forte contingente di soldati della Coalizione (italiani e americani) che dapprima consolidarono la loro presenza a Bala Murghab nell’area limitrofa all’ex-cotonificio impiantato dai russi e successivamente ampliarono l’area sotto il loro controllo con azioni combinate con le forze speciali americane. L’area che si veniva così a creare (chiamata “bolla di sicurezza”) arrivava ad avere un ampiezza di più di 20 chilometri e portava gli alpini italiani a compiere un « tremendus effort!, così come disse il generale comandante delle forze di ISAF, David Petraeus al Sottosegretario di Stato alla Difesa italiano, Guido Crosetto, in occasione della visita a Quibcaq il 2 agosto 2010»[20]. Fuori dalla bolla, delimitata da campi trincerati e caposaldi, i nemici dell’Afghanistan sono ancora presenti e diversi risultano i villaggi a loro soggetti; dentro, fino allo scorso anno erano presenti le forze di ISAF e quelle dell’esercito afghano che garantivano una maggiore sicurezza alla popolazione che generalmente apprezzava questa nuova condizione. In ogni caso, vale la pena ricordare che, sebbene appagata per una ritrovata sicurezza altrove assente, anche la popolazione residente nella “bolla” rimaneva comunque segnata dalla guerra. «Il continuo passaggio di elicotteri, jet e veicoli blindati, le esplosioni delle bombe o i colpi di mortaio sono un continuo richiamo alla vicinanza dei combattimenti, cosa che è motivo di continua apprensione per gli abitanti dei villaggi»[21]. Dopo che, a seguito delle Operazioni “Buongiorno” (2010) e “Spring Break” (2011), il progressivo ampliamento della bolla rendeva possibile il passaggio dell’area alle Forze di Sicurezza Afghane, quello della presenza internazionale è solo un ricordo. Un ricordo questo dove i locali non hanno forse giocato quel ruolo da protagonisti che ci sarebbe aspettato: le forze di ISAF, sebbene siano state tenute in alta considerazione, non sono state sempre supportate attivamente. Per i locali, infatti, adusi a un trentennio di guerre e legati a un concetto di mera sopravvivenza, è stato più importante rimanere nell’attesa degli eventi piuttosto che farsi coinvolgere in un progetto che non ha coinvolto completamente i loro comportamenti e sul quale in molti si erano fatti delle aspettative troppo grandi: «ci aspettavamo che portassero l’elettricità, l’acqua corrente per tutti, la strada da qui a Herat, ma non è stato fatto. Sono stati realizzati dei buoni progetti nel settore dell’educazione (…). Ma ci aspettavamo di meglio »[22]. Una migliore comunicazione in merito a quanto fatto e a quali erano gli obiettivi ultimi dell’impiego multinazionale avrebbe sicuramente generato meno aspettative ed evitato di creare in alcuni un sentimento di disillusione, ma non sempre «le autorità afghane (…) sono riuscite a spiegare l’accordo di Bonn del 2001 alla gente ordinaria. Per questo, molti sono convinti che i paesi stranieri, in particolare gli Stati Uniti, siano qui per compiere atti contrari ai nostri valori, per cambiare la nostra mentalità e cultura, o per restare qui molto a lungo»[23].
Il ruolo dei notabili locali (“Elders”).
Questo modo comune di pensare non ha reso quindi facile il lavoro delle forze della Coalizione che spesso non hanno trovato un vero e proprio aiuto nella lotta agli estremisti neppure nella popolazione che hanno avuto il compito di difendere, ingenerando talvolta disaffezione ed incredulità tra i militari internazionali stessi visto che «In molte occasioni per loro siamo solo una fonte di denaro. Nessuno di loro amerà mai l’America e quello che il suo esercito sta facendo qui per loro[24]». I notabili e le autorità locali a livello di villaggio (gli “anziani”) sono quindi l’unico mezzo per ingraziarsi la popolazione, visto che l’obbedienza e il rispetto verso di loro è un sentimento fortemente radicato nella cultura afghana. Nella società tribale, infatti, gli anziani giocano un ruolo fondamentale. Considerati come un archivio vivente delle tradizioni e del sapere, essi hanno l’influenza necessaria per risolvere i conflitti all’interno della comunità, ma anche per eseguire la “politica estera” per il loro villaggio. Sebbene il loro potere tradizionale sia stato eroso dalle organizzazioni criminali e ribelli che controllano il territorio attraverso la violenza e il terrore, nonostante la loro tendenza a considerare sempre prima la loro famiglia, gli anziani hanno autorità e rispetto tra i membri della comunità. A questo proposito, un buon esempio di collaborazione tra gli anziani e le forze della Coalizione è stato il villaggio di Quibcaq a circa 6 km a sud di Bala Murghab, dove è stato il capo villaggio stesso, Rais Abdel, a chiedere al comandante italiano l’intervento dei militari per allontanare gli estremisti che si erano fortificati nel suo villaggio e avevano cacciato la popolazione locale nelle zone desertiche ai margini della valle del Murghab. Parimenti nel villaggio di Ludina, alcuni km a nord di Bala Murghab, si è instaurato un buon rapporto tra i notabili e le forze della Coalizione per favorire l’allontanamento dall’area di chi ostacolava il processo di pace. Ma mentre con il villaggio di Quibcaq, di etnia tagika, il rapporto con i militari era destinato a implementarsi e a mettere in essere una vera e propria collaborazione per la difesa del territorio liberato, a Ludina e in altri villaggi vicini all’abitato di Bala Murghab, era la convenienza ad avere la meglio sull’idea di costituire un vero e proprio fronte comune. Anche il lavoro svolto dai militari e dalle agenzie internazionali per la cooperazione e lo sviluppo del territorio non sempre è gradito o di vero aiuto a tutta la popolazione. «Se il singolo», ad esempio, «non disdegna di ricevere gli aiuti umanitari, la distribuzione di questi talvolta va a minare l’economia locale. Per esempio, quando vengono distribuiti generi alimentari, la popolazione non comprerà questi dai contadini o dai negozi del bazar»[25]. Accontentando una parte della popolazione se ne danneggia un’altra parte. Un altro esempio è quello dei danni delle proprietà a seguito di aviolanci di materiali o di scontri a fuoco. «Le petizioni per ricevere denaro rivolte al locale governo da inoltrare al comando ISAF della base di Bala Murghab stanno man mano diventando sempre più numerose. Vedendo che le prime venivano pagate, adesso si assiste ad un proliferare di richieste che finiscono per accontentare sempre meno gente»[26]: visto che le petizioni sono quasi sempre incomplete e talvolta false, ISAF ritiene necessario verificare attentamente ogni affermazione, questo causa il protrarsi dei tempi e in questo modo succede che chi ha subito un danno vero rischia di essere rimborsato in ritardo, cosa questa che aumenta il malumore tra i locali. Un altro problema spesso sollevato dalla popolazione è quello dell’occupazione dei terreni effettuato dalle forze della Coalizione per la costituzione dei COP (Combat Out-Post, caposaldi) dove i militari italiani e statunitensi, prima di passarli all’esercito afghano lo scorso anno, si trinceravano e schieravano le loro forze. In molte occasioni, infatti, «i proprietari non sono sempre d’accordo a cedere i propri terreni per paura delle minacce talebane»[27] ma la costruzione dei caposaldi, dettata da necessità tattiche imprescindibili per la difesa dell’area di operazioni e delle comunità in essa residenti, aveva e ha la priorità sugli interessi del singolo, fattore questo che va contro una mentalità radicata secondo cui gli interessi del singolo vengono prima di quelli della comunità. Solo una sapiente, quotidiana e ben pianificata condotta di operazioni informative nell’area miranti a creare un rapporto privilegiato e un continuo coinvolgimento degli anziani, sfruttando tutti gli strumenti a disposizione delle truppe internazionali, dalla “comunicazione operativa”, alle attività di cooperazione civile e militare, passando per tutti i livelli di Engagement (dal Key al Local Leader senza trascurare l’addestramento per il Soldier Engagement), puo’ quindi far spostare l’ago della bilancia del consenso verso le forze internazionali e governative.
La coabitazione di autorita’ governative e tribali.
A seguito del programma di reinserimento delle tribù imposto dal re Abdur Rahman alla fine del 19° secolo mirante a controbilanciare la presenza dell’etnia tagika della provincia di Badghis, il distretto di Murghab rappresenta oggi un’anomalia nel tessuto etnico della provincia essendo principalmente composto da pashtun. Oggi giorno, le tribù pashtun più importanti nella valle del Murghab sono la Durrani e la Ghilzai, entrambe ampiamente compromesse con le forze nemiche al processo di pace ma allo stesso tempo con molti membri inseriti all’interno dell’amministrazione governativa. Questo perché, come già precedentemente scritto, «in ogni tribù ma in molti casi in molte famiglie i componenti sono oramai divisi in supporters del governo, attendisti o supporters dei talebani. L’unico fattore che ancora può tenere insieme il contesto sociale locale è dato dall’influenza degli anziani che possono frenare le singole intemperanze»[28]. Anche se c’è un governo locale, infatti, sono il clan e il villaggio ad essere sempre messe al primo posto nella scala dei valori della popolazione che di conseguenza sarà sempre portata a seguire i consigli e le parole degli anziani del villaggio. Anche se poi questi ultimi, sebbene si dimostrino meno corrotti e più “dentro” i problemi della gente, sono spesso portati a mettere i loro interessi e quelli dei loro famigliari davanti a tutto. Un esempio di questo è stato evidente agli inizi del programma di assistenza medica denominato MEDCAP (acronimo di medical civil assistent program, programma di assistenza medica alla popolazione) effettuato dal team Ci.Mi.C. (acronimo di Civil Military Cooperation, la cooperazione civile e militare) italiano in collaborazione con i militari americani del Civil Affairs Team. All’atto di fornire assistenza gratuita a domicilio alla popolazione dei villaggi si è subito visto come gli anziani, dopo essersi fatti controllare, facessero visitare i membri delle loro famiglie prima e i parenti poi facendo aspettare per lunghe ore gli abitanti del villaggio, talvolta maggiormente bisognevoli di cure. Ciò nonostante la gente comune vede il clan tribale e i suoi rappresentanti meglio di qualsiasi altra entità governativa statale. «Nel distretto di Murghab, i gruppi tribali pashtun sono circa 15, con cinque tribù che hanno forte influenza (di cui due, la Durrani e la Ghilzai, di maggiore peso politico). Oltre ai pashtun, nel distretto, sono presenti anche i turkmeni, che sono però scarsamente influenti e i tagiki, presenti solamente nell’abitato di Quibcaq, a sud del centro abitato di Bala Murghab»[29]. Il ruolo dei politici nel comprensorio di Bala Murghab si deve quindi inserire in un secolare sistema tribale di lotte di potere ed è quindi preso in scarsissima considerazione dalla popolazione perche’ molto spesso neppure conosciuto (e quando tale, difficilmente riconosciuto come autorità). Vi è qui infatti, come nel resto dell’Afghanistan, una grande differenza fra il potere esercitato dagli “Elder” (i capi villaggio e i capi religiosi) e quello esercitato dai politici. Come si e’ visto in precedenza infatti, i primi, godono del massimo rispetto nella rete sociale afghana, i secondi, invece, poiché molto spesso estranei al contesto sociale locale (che in Afghanistan, non dimentichiamolo, è limitato molto spesso al villaggio o al massimo alla valle di appartenenza, oltre che, naturalmente, all’etnia) sono ritenuti un elemento estraneo e presi in considerazione solo limitatamente alle necessità contingenti. Peraltro i politici stessi fanno molto spesso poco per essere vicini alla popolazione. Basti pensare, ad esempio, che in un distretto profondamente lacerato dalla guerra come quello di Murghab, che conta territori ancora non liberati, in una riunione dei massimi esponenti del governo locale con un team della Coalizione uno dei punti discussi all’ordine del giorno era «il problema creato dagli “schizzi di fango” prodotti dai mezzi blindati occidentali in transito nel bazar e diretti in prima linea»[30]. O che a seguito del ritiro delle forze internazionali «quasi tutti i rappresentanti del governo vivono in esilio a Qal-i-Now»[31]. Tutti questi indicatori fanno quindi pensare quanto sia necessario focalizzare gli sforzi protratti verso i capi villaggio, la cui fiducia deve essere conquistata e mantenuta nei successivi incontri, ridimensionando invece i rapporti con gli esponenti politici locali il cui peso sui locali e’ da considerarsi molto spesso meno efficace di quello dei notabili locali e dei rappresentanti comunitari tradizionali.
Conclusioni.
Nel corso degli ultimi anni le forze della Coalizione hanno fatto significativi progressi per garantire la sicurezza della valle. Da un area controllata poco più grande del cotonificio dove erano asserragliati, nel giro di alcuni mesi, gli occidentali sono arrivati a estendere la loro area di operazioni garantendo così un’area sicura (bolla di sicurezza) governata da funzionari politici locali. Questi però, con il passare del tempo, hanno dimostrato talvolta lacunose capacità di governo e, senza il supporto della giunta provinciale, di diversa etnia, rischiano di creare una situazione di stallo nel processo locale di “governance” che, se non presa in tempo, potrebbe rendere fortemente invisi alla popolazione i politici e fare quindi il gioco degli estremisti ancora presenti nella valle. Nella popolazione, inoltre, non sono ancora chiari gli obiettivi delle forze sul campo e governative in particolare, cosa queste desiderino realizzare per loro e come cambierà la loro vita al termine delle operazioni militari. Una cosa tangibile che la popolazione -afflitta da decenni di conflitti etnici, ideologici e rappresaglie- ha percepito durante la presenza italo-americana e’stato l’aumento della sicurezza. Dallo scorso anno pero’ il credito in termini di sostegno popolare che le forze della Coalizione avevano maturato dopo i primi schiaccianti successi viene lentamente eroso dal desiderio di pace della popolazione che, vivendo in un’area maggiormente sicura rispetto a prima ma comunque militarizzata, è portata ad aspettare o a schierarsi solo con chi percepisce come il più forte in mancanza di una chiara e martellante attività informativa e comunicativa. Quanto sta accadendo suggerisce quindi che, al fine di raggiungere una stabilità duratura nella valle del Murghab, a un anno dal ritiro delle forze della Nato, il vero ago della bilancia sia piu’ che mai costituito dalla popolazione: solo lavorando su di essa con un’articolata politica di sviluppo e di incentivi, a stretto contatto con i notabili e le autorità locali sino a livello di villaggio, sebbene in un difficile contesto socio culturale come quello qui descritto, si potranno avere in tempi relativamente brevi dei successi che, completando quelli militari già raggiunti, potrebbero portare a un cambiamento significativo della percezione che la popolazione ha del governo afghano, fattore determinante per una rapido e decisivo sradicamento del fenomeno insurrezionale in tutto il distretto.
Matteo Mineo
(da Rassegna dell’Esercito di RIVISTA MILITARE, Gennaio 2014)
(Le foto presenti nella Gallery sono state autorizzate dallo Stato Maggiore Difesa e già pubblicate nell’Ottobre 2010 nel libro “Caposaldo Cavour”, edito Uniart)
[1] C. Bertolotti, The complexity of cross-cultural communication, in “Human Aspects Of The Operational Environment – Final Report”, NATO Human Centre of Excellence, Oradea 2013.
[2] Progetto “Consulente per l’intermediazione culturale/Unità di intermediazione culturale (CIC/UIC) diretto da C. Bertolotti, avviato nell’ambito del programma di “Alta Formazione” e finanziato dalla Regione Piemonte in collaborazione con l’Università di Torino.
[3] Programma d’insegnamento seminariale frutto del contributo sinergico di Brigata Alpina “Taurinense”, Scuola di Applicazione dell’Esercito e Università degli Studi di Torino.
[4] Human Aspects of the Operational Environment presentation, a Defence against Terrorism Programme of Work project led by the Human Intelligence Centre of Excellence, study presentation, 10 ottobre 2013, NATO Headquarters, Brussels.
[5] Internet, Badghis Province, 20091230, (U) [url: http://en.wikipedia.org/wiki/Badghis_Province] basata sul rapporto della United Nations High Commissioner for Refugees’ (UNHCR) del 30 dicembre 2009;
[6] Ibid.;
[7] Internet, (U) US Department of State draft of Badghis History, 2010;
[8] GAIANI Giannandrea, Analisi Difesa, 23 maggio 2013;
[9] Bailey Joseph, analista statunitense, conversazione con alcuni rappresentanti del Dipartimento di Stato effettuata presso i locali del PRT di Qala-e Now, 17 Aprile 2010;
[10] DAINS David, responsabile della US AID a Bala Murghab, dichiarazione resa durante le interviste per la stesura del libro Caposaldo Cavour, Alba, ed. Uniart, 2010;
[11] SHOKOR Abduhl, sindaco di Bala Murghab, dichiarazione resa durante le interviste per la stesura del libro Caposaldo Cavour, Alba, ed. Uniart, 2010.
[12] CAMPOS Enric, Ci.Mi.C. team leader del contingente spagnolo di stanza a Qala-e Now, dichiarazione resa durante le interviste per la stesura del libro Caposaldo Cavour, Alba, ed. Uniart, 2010;
[13] DAINS David, responsabile della US AID a Bala Murghab, dichiarazione citata;
[14] Bailey Joseph, analista statunitense, conversazione con un militare delle Marines Special Operations Forces (MARSOF) nel distretto di Bala Murghab, 20 April 2010;
[15] Bailey Joseph, analista statunitense, conversazione con alcuni rappresentanti del Dipartimento di Stato, dichiarazione citata;
[16] Bailey Joseph, analista statunitense, conversazione con un militare delle Marines Special Operations Forces (MARSOF) nel distretto di Bala Murghab, 20 April 2010;
[17] DAINS David, responsabile della US AID a Bala Murghab, dichiarazione citata;
[18] SHASADA’ Muhammad, costruttore della impresa “IAIA” di Bala Murghab, dichiarazione resa durante le interviste per la stesura del libro Caposaldo Cavour, Alba, ed. Uniart, 2010;
[19] SHOKOR Abduhl, sindaco di Bala Murghab, dichiarazione citata;
[20] BIAGINI Massimo, MINEO Matteo, Caposaldo Cavour, Alba, ed. Uniart, 2010, pag. 149;
[21] KHAN Ibrahim, governatore del distretto di Murghab, dichiarazione resa durante le interviste per la stesura del libro Caposaldo Cavour, Alba, ed. Uniart, 2010;
[22] ABDUL R., commerciante, Qala-e-Now, dichiarazione resa a Giuliano Battiston durante le interviste per la ricerca Le truppe straniere agli occhi degli afghani, Intersos, 2012;
[23] SURKHABI M. R., Development Office, Qala-e-Now, dichiarazione resa a Giuliano Battiston durante le interviste per la ricerca Le truppe straniere agli occhi degli afghani, Intersos, 2012;
[24] Bailey Joseph, analista statunitense, conversazione con un rappresentante del Civil Affairs del Marines Special Operations Forces già citata;
[25] Ibid.;
[26] Bailey Joseph, analista statunitense, conversazione con alcuni rappresentanti del Dipartimento di Stato già citata;
[27] KHAN Ibrahim, governatore del distretto di Murghab, dichiarazione citata.;
[28] Bailey Joseph, analista statunitense, conversazione con un rappresentante del Cilil Affairs del Marines Special Operations Forces già citata;
[29] Internet, “Murghab District, Badghis – District Narrative Assessment”, (U) [url: http://info.publicintelligence.net] , maggio 2010;
[30] Ibid.;
[31] GAIANI Giannandrea, Analisi Difesa, 23 maggio 2013