Fino al 2 ottobre, l’affascinante Castello Aragonese di Otranto, fresco di restauro, ospita la mostra ICONS di Steve McCurry.

Per chi mastica di Fotografia il nome di McCurry equivale a dire uno dei più grandi fotografi viventi di street photography, un riferimento assoluto nell’ambito della fotografia documentarista di carattere antropologico. I suoi scatti sono ormai parte della storia della fotografia contemporanea, parte del bagaglio culturale di milioni di appassionati e non. Quasi impossibile trovare occhi che non abbiano mai incrociato gli occhi verdi di quella Sharbat Gula a Peshawar in Pakistan, in uno tra i suoi più iconici ritratti.

Oltre un centinaio di scatti riempiono di umanità le sale dell’intero primo piano del castello. La mostra è ben curata nell’allestimento, la splendida semplicità delle sale appare quale giusto contorno alle immagini, affinché lo spettatore non abbia motivo di distrarre lo sguardo, permettendogli di immergersi fin da subito in un viaggio emozionale attraverso continenti, genti, sguardi e gesti, ben lontani dal nostro quotidiano e, talvolta, dal nostro immaginario culturale.

India, Afghanistan, Pakistan. Ma non solo. Un mondo non solo geografico ma, soprattutto, culturale, in cui la lentezza sembra in certi casi caratterizzare il cambiamento. McCurry mette lo spettatore dietro il mirino della sua macchina fotografica, ad inquadrare sentimenti universali. Il fotografo mette lo spettatore nella condizione di sbirciare da vicino un mondo destinato a grandi cambiamenti. Forse lenti, ma inesorabili. Ogni condizione umana è lì, davanti a noi. Diventa difficile distrarsi lungo il percorso della mostra, attraverso quelle immagini si sente la necessità di immergersi ancora più in fondo, passando di fotografia in fotografia, guardando quegli sguardi, la loro dignità semplice, essenziale.

Ci sono ritratti, molti, oggettivamente splendidi. È forse il modo più semplice per rappresentare al meglio quell’essere parte di un mondo.

E c’è la guerra, molta. Rappresentazione di un dramma umano che nell’immagine ferma di una fotografia davanti ai nostri occhi, ci permette di pensare un attimo in più, rispetto al turbinio di immagini in movimento proposte nei nostri (distratti) quotidiani appuntamenti col mondo, comodamente seduti davanti ad un branzino bio.

Nelle immagini che avvolgono i passi del visitatore lungo il percorso della mostra vi è poesia. Quella poesia cui non siamo più abituati e che ci fa fermare muti davanti ad ogni immagine esposta. Vi è poesia in ognuna di quelle immagini. Vi è poesia nella sofferenza, nella gioia, nello stupore, nella serenità di quei volti e di quei luoghi. Vibra la poesia, e si sente. Si vede. McCurry ha lo sguardo attento del grande reporter, ha quella sensibilità di cogliere la bellezza dove altri vedono esclusivamente disperazione. Soffermandosi nel percorso, si ha la sensazione che quella poesia, quella bellezza, sia l’unica chiave per salvare il mondo. La bellezza catturata dall’obiettivo di un grande fotografo in qualche decina di anni di carriera. L’alta definizione delle stampe ed il grande formato fanno il resto, aiutando non poco l’empatia di chi guarda.

Percorrere le sale del Castello Aragonese di Otranto significa dunque effettuare una incursione tra i popoli, sfiorare culture lontane (non solo in senso geografico), ascoltare con gli occhi il brusio di quella umanità varia, voci di bambini forzatamente adulti e di anziani che raccontano storie, giocattoli improvvisati, preghiere e lavoro, sudore e sangue. Sorrisi, silenzi, morte e rinascita.

Vi è rappresentata l’avventura della vita. Un caleidoscopio di sguardi che interrogano muti il visitatore. Chi sei? Da dove vieni? Ma, sopratutto, dove stai andando?

www.stevemccurryicons.it

Massimo Fusaro