Nello Correale, autore, regista, sceneggiatore. Nel 1997 ha scritto il suo primo film Oltremare. Non è l’America.
Ideatore insieme ad Aki Kaurimaski del Festival del Cinema di Frontiera che da diciassette anni si tiene a Marzamemi, in Sicilia. Fu quasi un esperimento di tipo antropologico perché all’epoca il luogo prescelto era quasi disabitato. La frontiera come luogo d’incontro e di storia e non come luogo geografico. Ogni anno a Marzamemi, arrivano persone da ogni dove ed è questo che spinge ad andare avanti.
Il Festival del Cinema di Frontiera, da quale idea è nato diciassette anni fa?
Quella di portare in un luogo che sembrava un gioco, per mettere in difficoltà quelli che avevano i pregiudizi sui punti cardinali. Siamo in un luogo in cui abbiamo i piedi in Europa poi siamo in Africa perché siamo a 75 miglia a Sud di Tunisi. Non c’è luogo più sintomatico per mettere in discussione quelli che sono i pregiudizi sulle Frontiere. Con un mio amico, Aki Kaurismaki, abbiamo deciso di fare un Festival da queste parti. La piazza nel 2000 non era ancora agibile. Ad un certo punto abbiamo notato che c’era un sentimento fortissimo da parte di quelli che arrivavano sotto il fuoco del proiettore perché era quella l’immagine che si aveva da lontano. Non c’è stata nessuna preparazione, nessuna motivazione se non il piacere di dare vita ad un esperimento che sembrava quasi antropologico perché qui era disabitato.
Un esperimento che ha avuto grande successo negli anni?
Quello è dovuto a un lavoro di ricerca che noi in maniera consapevole avevamo già fatto insieme agli amici del Nord Europa. Mi sono sempre occupato di confini per interesse, per il mio lavoro, ho scritto e fatto film sull’argomento anche per altri. Quando mi sono occupato della frontiera non eravamo ancora nell’epoca in cui i migranti arrivavano. L’unica cosa che sapevamo era che i Balcani si stavano svuotando e quindi si arrivava dall’altra parte. La frontiera non era neanche un termine così utilizzato. Era la frontiera dello spirito o del western. Più che un intuizione è stato un progetto che era quello di capire cosa succede in un luogo molto sensibile che è la frontiera dove automaticamente s’incontrano delle persone, delle storie, delle situazioni. La mia idea è stata quella di non aver individuato la Frontiera come un luogo geografico ma come un luogo d’incontro e di storia. Individuarla come luogo geografico è un inganno che ci arriva da un guardare in maniera distorta la nostra storia. Sfido chiunque a trovare per terra i segni che indicano dove inizia e dove finisce un territorio. L’hanno segnato in mare ma neanche i pescatori sanno dove inizia e dove finisce la parte dell’Italia. La vera frontiera è quella che ti porti dentro e che ti fa dire “questa è la mia terra e tu stai fuori”. A volte la frontiera è anche fuori dall’uscio di casa.
Non esiste più il Mare Nostrum?
Anche questa è stata un’invenzione. Platone una delle menti più eccelse della nostra scienza e coscienza e dell’Occidente, per ben tre volte l’anno fatto prigioniero e schiavo per ben tre vote. Nostrum di chi? È di chi in quel momento detiene il potere.
Cosa propone il Festival quest’anno?
Una cosa che per la prima volta riesce a realizzarsi. Film in lingua originale, in anteprima e che arrivano da cinque continenti. Hanno il compito preciso di non dare risposte ma bensì alcune motivazioni per spingerci a fare domande. Non sono film che raccontano fatti drammatici del presente ma raccontano fatti presenti da sempre nelle coscienze di tutti. Il cinema non deve dare messaggi né cambiare il mondo. Sono le persone con la vita e con le cose che fanno che cambiano il mondo.
Smuovere le coscienze?
Assolutamente! I grandi del teatro non hanno mai pensato che scendendo dal palcoscenico si trovino davanti ad un mondo diverso. È il contrario perché si sale sul palcoscenico per creare un mondo diverso. Bisogna anche imparare a guardare, mettendosi nel posto giusto per vedere quello che c’è. In realtà, ci hanno messo tutti nello stesso punto, abbiamo tutti lo stesso sguardo, la conseguenza è che si limita ance quello che vediamo. Ci sono dei momenti storici in cui si creano dei dislivelli, dei punti di visione diversi. Se io vedo tutto da un’altezza di venti centimetri. Il mondo può cambiare rispetto a quello che lo vede da un’altezza di 80 centimetri. Secondo me, il vero artista è colui che riesce a dare angolazioni diverse alla visione. Il mondo lì è, la realtà si cambia in un altro modo. Almeno questo l’artista lo deve fare.
Sta già lavorando all’edizione del prossimo anno o è prematuro?
No, lavoro anno per anno. Non sono un operatore culturale, il mio lavoro è fare il cinema. Gli artigiani per fare le cose bene, hanno bisogno di tempo e fin quando c’è un pubblico che segue e qui per tre quarti viene da tutte le parti d’Italia. Sono loro che mi trascinano verso l’edizione successiva.
Elisabetta Ruffolo