La mostra L’Odore della pioggia di Francesco Panceri a Lodi al Bipielle Arte in via Polenghi Lombardo dal 27 maggio al 18 giugno è stata l’occasione di incontrare l’artista che mi ha illustrato personalmente alcuni aspetti della sua linea artistica in questa esposizione. Il titolo della mostra nasce come ricordo di un intenso periodo di viaggi tra il settembre del 2015 e il dicembre del 2016 in cui Panceri ha percorso un vero e proprio itinerario creativo: da un simposio di scultura all’altro, ha toccato Taiwan, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Corea del sud e la Thailandia. L’Oriente insomma, quello che suggestiona la mostra con l’evocazione del senso olfattivo della terra visitata. Da ciò nasce una poetica che – scrive Silvia Merico – «Non è la ricerca di una forma, non sta in confini tracciati e sfugge alle definizioni razionali, ma tende ad essere inafferrabile e travolgente proprio come un odore». Di fronte alla sezione di sculture lo stesso Panceri mi ha spiegato la genesi di queste opere. Le ha volute inserire perché il principio della ricerca del materiale che si trova all’interno del materiale stesso qui è molto forte.

Francesco Panceri, Scultura 2.
Il partire dai cerchi concentrici della sezione di un albero è andare alla ricerca della natura e costituisce lo spunto concettuale per attuare artisticamente la quadratura del cerchio. Questa viene raggiunta dallo scultore decomponendo la forma circolare, frammentandola, rompendola; quindi la ricompone e la trasforma all’interno di un quadrato. Metodo fondante della sua attività è la decostruzione come parte essenziale del lavoro: partendo da uno o più cubi ri-costruisce una forma quadrata ed esalta la materia stessa del legno attraverso la bruciatura: il fuoco, assunto come gesto creativo, distrugge e crea allo stesso tempo (lezione che hanno dato tutti gli artisti da Burri in avanti). Il materiale ha una sua natura e una sua vitalità e lui, disgregando, decomponendo e bruciando, ne esalta la struttura. Questo è il motivo per cui nella mostra compare un’area scultorea come una analisi all’interno della materia in una serie di opere che prende il nome Dentro materia: la serie scultorea in mostra fa parte di una ricerca di Panceri sulle forme archetipiche del cubo e del cerchio espresse ora attraverso decostruzione ora tramite deformazione. In un’opera c’è una decostruzione che prende spunto dal nido degli uccelli che trovano e riutilizzano parti di materia per delimitare uno spazio circolare rispecchiante il loro adeguamento istintuale alla natura, a differenza dell’uomo che costruisce in genere strutture cubiche e si affida invece ad una morfologia geometrica. Anche in questo si coglie la ricchezza polisemica dell’opera d’arte: nell’analisi strutturale e un po’ architettonica della figura del cubo.

Francesco Panceri, Pietra dell’ingresso.
Ancora lo studio sul cerchio emerge in un’altra sua opera dal titolo Pietra dell’ingresso che è una citazione dal libro di Haruki Murakami, un romanzo del 2002, Kafka sulla spiaggia: qui la pietra dell’ingresso, se toccata, fa entrare nel mondo onirico e si racconta di un ragazzo che tocca la pietra, gestita da un vecchio saggio giapponese, e si trova perciò a sognare ad occhi aperti; ciò costituisce un elemento culturale orientale quasi magico. Questo apre la via alla concezione di uno spazio vuoto, dentro certe opere, che si configura come un tunnel che risucchia verso l’interno mentre in altre sculture l’artista concepisce uno spazio vuoto che risucchia verso l’esterno. Questi chiarimenti dell’artista mi hanno rivelato l’organicità profonda di questa esposizione che connette la vena e la vocazione scultorea di Panceri anche ai numerosi dipinti esposti: si tratta per la precisione di opere su carta e alluminio e di reperti emozionali – come vengono definiti dall’artista – in cui scorrono come pagine di un diario le esperienze sensoriali ed emozionali raccolte durante numerosi viaggi tra Asia ed Oceania.

Francesco Panceri, Petricore – olio su tela, terre, carta coreana, l’odore della pioggia. 2017.
Paesaggi desertici, orizzonti sconfinati, pioggia e terra, nuvole e vento sono gli ingredienti di questo percorso di racconti pittorici fatti di strappi, erosioni e ossidazioni in cui la poetica del frammento rimanda a memorie vissute. Qui l’aspetto geoconcettuale, palesemente ispirato all’Oriente, porta Panceri ad usare la carta coreana riscoperta come potenziale espressivo in una serie di dipinti atmosferici con elementi emozionali inseriti nei titoli e aspetti tattili tridimensionali in rilievo, come i lacerti di spartiti in Braille nell’opera Stratificato pensiero nella cui didascalia inserisce l’elemento evocativo, “Mozart a colazione“, che rende tangibile un brano musicale altrimenti evanescente. Come questa, ogni opera esposta è presentata in un bel catalogo, con un suggestivo sottotitolo di seguito alle tecniche ed ai materiali utilizzati, realizzato grazie alla Fondazione Banca Popolare di Lodi e ad altri sponsor locali.
Andrea Zepponi