La violenza sulle donne di oggi nei versi di Shakespeare
Dal 14 al 18 settembre al Teatro dei Conciatori Lo stupro di Lucrezia dal poema di William Shakespeare, interprete straordinaria Federica Bern, con testi e regia di Luca De Bei. Scene di Valeria Mangiò, costumi di Camilla Marcelli, luci di Nicola De Santis.
Luca De Bei dà voce a chi non ce l’ha e in un connubio tra i versi di Shakespeare e la denuncia sociale, porta in scena quattro donne, ognuna delle quali ha sacrificato la propria vita per un motivo diverso ma tutte legate indissolubilmente dalla voglia di non rassegnarsi mai.
Punto di partenza è lo stupro di Lucrezia per parlare di quattro donne. Chi sono?
Lo stupro di Lucrezia è il punto da cui partire per raccontare le storie di altre donne che in qualche modo raccolgono la sua eredità. La sua denuncia dello stupro perpetrato ad opera di Tarquinio Sesto, figlio di Tarquinio il Superbo, re etrusco di Roma, tanto odiato dai romani nel 508 a.C. che porta ad un risultato più che concreto perché il vile tiranno viene cacciato. Lucrezia per far sì che la sua denuncia sia così forte, si uccide davanti a tutti. Questo suo gesto estremo non è derivato dalla vergogna dello stupro o dalla disperazione ma è un gesto morale. Abbiamo fatto il parallelo con quattro donne contemporanee perché volevo che il gesto di Lucrezia che Shakespeare ha mirabilmente trasformato in un poema in versi, parlasse il più possibile a tutti. Volevo che un fatto accaduto duemila cinquecento anni fa, si riallacciasse al discorso sulla donna che denuncia che ha coraggio che è pronta a stare in prima linea. Si parla di quattro personaggi femminili contemporanei: Bertha Caceres che è un’attivista Honduregna che è stata premiata nel 2015 con un riconoscimento importantissimo per chi difende l’ambiente ed i diritti umani e che si è battuta per difendere i diritti del suo popolo e contro la costruzione di una diga ad opera di una multinazionale cinese ma dopo aver vinto questa battaglia, è stata uccisa. In questo caso la morte di Bertha non è voluta in prima persona ma è comunque un rischio che lei si era assunta, tanto che aveva portato i suoi quattro figli in Argentina ma lei era rimasta a combattere. Parliamo di Dimitra, una bambina di undici anni, fuggita da casa perché non voleva sposare un uomo più grande che la famiglia aveva scelto per lei. Fa un gesto molto toccante, sul diritto che hanno le bambine di crescere, giocare e poi studiare. C’è la storia di Paola una bracciante agricola pugliese vittima del lavoro nero e del caporalato morta nell’agosto scorso. Lavorava all’acinellatura dell’uva. Ha avuto la prima pagina sui giornali per poi cadere nel dimenticatoio. Non solo lei ma anche tutto il problema del caporalato. È una criminalità organizzata che è infiltrata nel tessuto sociale, tanto è vero che sono persino le aziende che assumono queste donne apparentemente in regola ma poi le stesse sono costrette al momento in cui ricevono la busta paga a restituire la metà del compenso, ne devono dare una parte ai caporali e addirittura devono pagare il pullman che le porta sui campi di lavoro ed a loro rimane veramente poco. Basta viaggiare per l’Italia per incontrare spesso questi pullman di donne e non sono turiste. Cinquanta, settanta, cento donne. Sicuramente si tratta di lavori in cui sono richieste le donne come la raccolta delle fragole. Sono lavori che le straniere si rifiutano di fare. Sotto l’orrore del caporalato si nascondono brutalità, violenze sessuali. I sindacati molto spesso hanno le mani legate o non hanno la forza di opporsi a tutto questo o di scuotere le istituzioni. Se ne parla per un attimo al telegiornale, un paio di foto sul giornale ed il fenomeno continua. Per ultimo parliamo di Kiana Firouz, una giovane attrice iraniana, perseguitata nel suo Paese per la sua natura omosessuale, che è fuggita dall’Iran chiedendo asilo politico in Inghilterra e che stava per essere rimpatriata. Con dei registi iraniani ha fatto un film “Cul de sac” che ha girato molti Festival e quindi il suo caso è stato accolto da Organizzazioni umanitarie. È stata lanciata una raccolta firme per concederle l’asilo politico che alla fine è stato concesso dall’Inghilterra. In un’ora e dieci di spettacolo passiamo dall’antica Roma ai giorni nostri. È uno spettacolo particolare. Federica Bern incarna ed interpreta tutte le donne con varietà di stili anche narrativi. C’è la poesia di Shakespeare, c’è il dramma, la commedia ma c’è addirittura un momento giocoso di marionette che raccontano una storia terribile. È comunque un teatro di denuncia.

ritratto del regista Luca De Bei (copyright Pietro Pesce)
Hai detto “si arriva ai giorni nostri” perché oggi per le donne è più difficile ribellarsi alle prepotenze, ai soprusi di maschi ottusi?
Non credo sia più difficile anzi, sicuramente è più facile perché fino a settant’anni fa le donne non avevano neanche il diritto di voto. È da poco che la donna si è emancipata. Quello che è preoccupante è che rispetto all’accelerazione che è arrivata fino al movimento femminista, adesso sembra ci sia stata un’involuzione che è stata però causata da una società sempre più forte nel suo essere patriarcale, maschilista, consumista e sono tutti aspetti della società che relegano la donna in un unico ambito perché è una società che si basa sulla forza, sulla brutalità, sulla violenza, sull’imposizione, sulle persone come merci e la donna soccombe davanti a queste dinamiche. Ci sono tante domande inquietanti da porsi “perché le donne non votano le donne”? In Italia ci sono più elettrici che elettori e se da un lato è vero che i partiti propongono poche donne nelle loro liste elettorali comunque sono presenti, ci sono un 20- 30% di candidate se le donne votassero le donne, avremmo al potere quel 50-60% di presenze femminili che secondo me sarebbe una cosa buona. Il discorso è molto ampio, noi nel nostro piccolo con questo spettacolo vogliamo mettere in luce delle donne che a volte in modo consapevole ed attivo come la ragazza iraniana o come nella sua fanciullezza la bambina yemenita o come la bracciante agricola la cui stessa morte è una denuncia. Mentre per gli altri personaggi ho avuto modo di documentarmi, con la bracciante agricola mi sono dovuto inventare tutto. Sapevo solo che era sposata che aveva tre figli, la sua età. Mi sono immaginato una Paola che fa questo lavoro perché ne ha bisogno ma che allo stesso tempo è consapevole che le istituzioni, la politica, i sindacati, i preti non fanno nulla. Eppure lei dice “vicino ai campi dove lavoriamo ci sono le autostrade, passano le macchine, non siamo nascosti. I pullman percorrono a volte anche 300 km per arrivare sui luoghi di lavoro. Siamo sotto gli occhi di tutti, perché non fanno niente?” Lei nella sua semplicità non ha la forza di fare una vera denuncia. Tuttavia anche le donne che si sono ribellate o hanno perso il lavoro oppure in alcuni casi sono state illuse dal sindacato di poter lavorare in regola per poi scoprire che alla fine venivano pagate più o meno lo stesso. Sembra quasi che i lavoratori di oggi non siano consapevoli dei loro diritti. Una volta gli operai scioperavano, chiudevano le fabbriche, scendevano in piazza ed incrociavano le braccia. Viviamo in un’epoca molto difficile. La globalizzazione ha reso i poteri forti, molto più forti. Noi crediamo in questo spettacolo ed il fatto di farlo in un piccolo teatro, pur nelle loro limitatezze perché hanno piccoli budget ma c’è la possibilità di fare degli spettacoli che non sarebbero accolti in altri luoghi e soprattutto ti permettono di sperimentare. È uno spettacolo che tenta di unire la classicità di Shakespeare con la denuncia sociale e ci permette anche di sperimentare. Federica Bern è molto brava come attrice. Mi ricorda molto lo spettacolo di Margherita di Rauso “Louise Bourgeois” che è nato come esperimento ed è cresciuto sempre di più. Quest’anno approdiamo al Tetro Franco Parenti di Milano.
Perché la politica, le Istituzioni, la legislazione remano contro i piccoli teatri?
Innanzitutto è la Cultura che spaventa in Italia. La cultura soprattutto in Italia in cui siamo seduti su un patrimonio artistico invidiabile, abbiamo una materia prima che nessuno ha. I contributi che vengono dati sono sempre meno e ad essere penalizzati sono sempre i piccoli teatri. Molti sono stati costretti a chiudere. Non ci sono detassazioni, uno che opera nella Cultura paga le stesse tasse di uno che fabbrica materassi. Un male che ha prodotto devastazione e non si sa se e come ci riprenderemo. Ci vorrebbe un Governo che finalmente riconoscesse il valore della cultura. Guarda la TV di Stato che è diventata uno strumento politico, di potere. Era nata come strumento didattico per gli italiani. La televisione faceva crescere, adesso fa decrescere mandando in pappa il cervello. Una volta permetteva agli italiani di conoscere Dostoevskij, Riccardo Bacchelli. La grande stagione degli sceneggiati, persino gli spettacoli d’intrattenimento rivisti oggi hanno delle coreografie all’avanguardia con i tempi giusti. Avevano ospiti come Alberto Sordi, Monica Vitti, Claudia Cardinale. Oggi viviamo in un periodo barbaro.
Elisabetta Ruffolo

ritratto di scena dell’attrice Federica Bern (copyright Pietro Pesce)