«Tutti noi siamo reduci di vita» dice Adolfo Adamo, lo siamo anche io e lui, compagni di scuola del Liceo B. Telesio di Cosenza in cui abbiamo attraversato l’adolescenza e siamo diventati adulti. Erano gli anni delle lotte politiche, degli anni di piombo, anni in cui la Scuola era ancora un’Istituzione. Giovani e spensierati abbiamo condiviso momenti felici. Cresciuti a Cosenza, una piccola città del Sud, con un solo Teatro, il Rendano. È da lì che parte il nostro amore per questo lavoro. Ci siamo persi per lunghissimi anni ed è stato questo grande fuoco che ci attraversa da anni a far sì che le nostre strade si siano incrociate nuovamente.

Adolfo Adamo oggi è in scena al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano con Reduce di Vita, spettacolo che incanta le platee di qualsiasi città ed ha un buon sostegno da parte della critica.

Di cosa parla lo spettacolo?

L’atto unico Reduce di Vta che ho scritto insieme a Pierino Gallo, nasce con l’intento di ricordare sicuramente la pagina più cruenta e tragica: La Grande Guerra, di cui è ancora in corso il centenario 1915 – 2015. Servita solo a mietere milioni di vittime sacrificali per il nulla.

Achille Pastrufazio pur essendo un Reduce della prima guerra mondiale è un uomo di oggi. Perché?

Achille Pastrufazio, nome di fantasia del protagonista, è un uomo del passato, così com’ è un uomo del presente che guarda al futuro con maggiore consapevolezza perché proprio reduce di vita. Va avanti come l’ultimo dei sopravvissuti, vivendo molteplici vite da braccato quotidiano e non solo. La sua forza risiede paradossalmente nella sua fragilità. Tutto questo gli serve a non soccombere alla vita stessa. I suoi dubbi, delusioni, frustrazioni, incertezze, ahimè intercettano e rappresentano trasversalmente gli stati d’animo sia di noi adulti che dei giovani. Anche per questo il lavoro è di una modernità disarmante. Tutti noi siamo reduci di vita.

Ritratto di scena. © Gaetano Gianzi.

Ritratto di scena. © Gaetano Gianzi.

Hai un’esperienza ventennale sia in ambito teatrale che cinematografico. Com’è scaturita la passione per il sacro fuoco dell’arte?

La passione per il Teatro e per il Cinema mi ha sempre accompagnato, fin da bambino. Successivamente l’incontro e la frequentazione dello “Studio Fersen” diretta dal Maestro Fersen, ha rappresentato per me un autentico faro. Ho sperato che il Teatro diventasse veramente la mia residenza tanto agognata. Questo non facile “gioco”, offre immense probabilità̀ di analisi e riflessioni indispensabili.

Sei stato diretto da grandi registi, da Gassman a Caiano, cosa hai attinto da ognuno di loro?

Tanti sono i Maestri con i quali ho avuto la fortuna di lavorare, da tutti ho appreso e a tutti è rivolto il mio affetto e gratitudine. Vasilicò, Prosperi, Molè, Gassman mostri sacri e unici, ma entrambi uniti da un comune denominatore disponibili e validi non solo unici, non solo artisticamente ma anche umanamente.

La tua massima di vita è di Calderon de la Barca “I sogni sono sogni, non è importante che si realizzino, l’importante è averli”.

Attualmente ho la fortuna di vivere un sogno incredibile. Domenica 13 Novembre debutterò̀ al Piccolo Teatro Studio Melato, con una mia produzione che mi vede impegnato come autore, regista e attore. Solo questo mi fa tremare le vene ai polsi. L’emozione è immensa e tutta l’esperienza che ho, è cancellata. Vivo questo momento importantissimo della mia carriera con la felicità di un bambino e quando il giorno successivo mi sveglierò, scoprirò che non si è trattato di un sogno ma è tutto reale.

Serendipity è la summa autobiografica del tuo percorso artistico. Mai rappresentata nella tua città natia, Cosenza. Come mai?

Serendipity è un lavoro che ho amato, immensamente. Quaranta repliche in una stagione. Un lavoro catartico, emozionante. Mai rappresentato a Cosenza. Mi chiedi il perché? Ti rispondo immediatamente. Perché i tempi non erano ancora maturi. Cosenza 10 anni fa era completamente diversa da oggi. Ora, fortunatamente, grazie anche alla sensibilità e alla lungimiranza del nostro Sindaco Mario Occhiuto, si respira un’aria diversa. Cosenza vive stimoli diversi. I tempi sono maturi. Ho realizzato due lavori importantissimi a Cosenza di cui ti accennerò in seguito. Reduce di Vita debuttò lo scorso anno il 16 Dicembre 2015 in prima nazionale proprio al Teatro A. Rendano di Cosenza.

Ti definisci portatore sano di cultura. In che senso?

Portatore sano di cultura è solo una provocazione per attirare l’attenzione su di un tema importantissimo: avere una progettualità̀ culturale è fondamentale. Tanti sono i talenti presenti sul nostro territorio, ma si continua ad ignorarli proprio per noncuranza, disinteresse. Questo è gravissimo. Il merito non è preso minimamente in considerazione. Se hai talento vocazione, umiltà è come se dessi fastidio. Ci si scontra quotidianamente con l’arroganza, l’autoreferenzialità, il narcisismo di alcuni che rendono questa situazione dannosa, alienante e che penalizza principalmente le nuove generazioni. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma sono ottimista. Le nuove generazioni avranno i numeri per ribaltare questa situazione stagnante.

Regista di Amore sbarrato come protagonisti un gruppo di detenuti della casa Circondariale di Cosenza. Secondo l’art. 27 della Costituzione “la pena deve tendere alla rieducazione del condannato”. Il percorso riabilitativo riesce sempre?

Amore Sbarrato nasce da un laboratorio durato due anni a Cosenza presso la Casa Circondariale S.Cosmai, lavoro fortemente voluto dal Sindaco Occhiuto. Il teatro è presente, fortunatamente in tutte le case circondariali d’Europa e non solo; ma fatto eccezionale è che siamo riusciti a far vivere l’esperienza teatrale agli ospiti fuori dalle mura perimetrali. I detenuti attori debuttarono al Teatro Rendano prima e l’anno successivo al Teatro Morelli in due atti unici che ho scritto esclusivamente per loro a seguito di laboratori realizzati all’interno della struttura: Amore Sbarrato e Amore Sbarratoil sogno continua. Ora posso dirlo: in Calabria siamo stati gli unici a riuscire in questa impresa. Ancora oggi ringrazio il Direttore del carcere dott. Benevento, il Magistrato di sorveglianza dott.ssa Lucente, il Sindaco Mario Occhiuto e L’Assessore Succurro.

In un tuo libro scrivi «L’arte e così il Teatro non hanno ragion d’essere se non divulgabili e fruibili». È sempre così o spesso si mira ad affondare la cultura, visto che i teatri chiudono ed i contributi dello Stato si riducono sempre di più?

Si, è proprio così l’Arte e il Teatro non hanno ragion d’essere se non divulgabili. Scrissi questo in una mia pubblicazione dal titolo Edutainmentheatres Luigi Pellegrini Editore. Saggio realizzato per la collana Thesaurus Scientifica – Sociologia della comunicazione. Per divulgare occorre che ci sia una giusta valorizzazione di quelle persone che realmente producono risultati importanti sotto ogni punto di vista. Fondi, facili elargizioni di contributi sono stati assegnati senza alcun criterio meritocratico, penalizzando una società intera a discapito di chi ha realmente competenza ed esperienza. Questo è il vero cancro. Ad ogni modo, da visionario intravedo e credo fortemente che in un futuro prossimo le cose cambieranno. Mi sforzo di crederci.

Elisabetta Ruffolo